[highlight] A Palermo i lavoratori approvano l’accordo con la società Exprivia ed è scongiurato il trasferimento dei 300 lavoratori a Rende, intanto i sindacati dichiarano il 10 novembre lo sciopero nazionale per tutte le sedi Almaviva. [/highlight]
Continuiamo ad occuparci in queste pagine della Crisi Almaviva e del rischio di 850 esuberi a NApoli con la totale chiusura del sito di Via Brin, oltre che i 1500 esuberi dichiarati di Roma. La pericolosità sociale di questa vicenda viene sostanzialmente sottovalutata dal Governo Renzi, che focalizza tutte le sue attenzioni sul Referendum, considerando di secondo piano l’allarme sociale che scaturirebbe dalla conclusione negativa di questa vertenza. Fino a oggi il Mise non ha ancora trovato una soluzione reale che possa scongiurare la mobilità, ma anzi sembra aver lasciato parti sociali e lavoratori in balia delle mosse aziendali.
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No Rende
Intanto, la vertenza Almaviva almeno per Palermo è arrivata a un punto di svolta con l’accettazione da parte dei lavoratori dell’accordo che eviterebbe il trasferimento a Rende e il conseguente passaggio dei circa 198 operatori ancora da valutare all’azienda Exprivia, che li assumerà azzerando gli scatti di anzianità. La questione palermitana di Almaviva sembra risolversi con il passaggio di questi alvoratori da Almaviva alla nuova azienda, ma mantiene comunque inalterato la precarietà di un settore sempre soggetto alle variazioni di umori o strategia dei committenti e sancisce come se ce ne fosse ancora bisogno l’accettazione di un sostanziale ribasso di quelli che sono i diritti e i salari dei lavoratori, oltre al passaggio ad un altro regime contrattuale.
La positiva conclusione della vertenza che riguarda la sede sicialiana, non deve però far passare in secondo piano quello che è il reale messaggio che viene fuori da Palermo: il progetto di governo è quello di svilire il confronto con le parti sociali e dare man forte alle aziende che puntano su un sostanziale processo di riduzione dei diritti e dei salari dei lavoratori.
Questione irrisolta
Restano aperte e in una situazione molto drammatica, nei numeri decisamente più consistenti di Palermo, le problematiche delle sedi di Napoli e Roma. Il Ministero ha deciso di dare priorità nelle trattative alla questione palermitana, lasciando la patata bollente, più difficile da trattare ai tavoli tecnici, che fino ad ora non hanno portato a nessuna nessuna novità. La questione è sempre la stessa: Almaviva ha rigettato un accordo concluso solo solo 5 mesi fa, quando con governo e sindacati firmava un accordo sostanzialmente rifiutatodai lavoratori nei referendum aziendali. Questo mese, quando doveva scattare la cassa integrazione che sarebbe servita a dare tempo al governo ditrovare una soluzione sulla crisi del mercato call center in Italia, ha dichiarato nuovamente le procedure di mobilità e questa volta escludendo Palermo, così da far ricadere l’impatto occupazionale e sociale di una decisione del genere solo sulle città di Napoli e e Roma.
Drammatica incertezza
La trattativa è in fase di stallo perché prima Almaviva aveva dichiarato di non voler intaccare il costo del lavoro e quindi gli stipendi dei lavoratori, nei tavoli preparatori ha poi chiesto esplicitamente una riduzione dei costi del lavoro, come abbiamo già scritto in queste pagine. Una decisione quindi contraddittoria, che in sostanza fa pagare la crisi alle parti più deboli, cioè il lavoratori. I sindacati si sono dichiarati contrari anche solo a valutare una proposta del genere e dalle assemblee tenute in questi giorni, si è mostrata evidente oltre che la rabbia dei lavoratori l’indisponibilità totale a sostenere una ulteriore riduzione degli stipendi e dei diritti, dopo che in tutti questi mesi tra contratti di solidarietà, ferie forzate, addebiti da parte dell’azienda di importi dovuti a causa di errori amministrati errore nella fruzione di ferie imposte in regime di solidarietà, l’azienda stessa ha contribuito a creare un clima di tensione e totalmente negativo. Se poi aggiungiamo i vari scioperi e lo stress di questa situazione si può capire quanto siano stanchi i lavoratori di affrontare questa vertenza che sembra irrisolvibile senza un deciso intervento governativo.
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Sciopero non di settore
Lo sciopero del 10 novembre non coinvolgerà tutte le aziende di settore, soltanto le sedi di Almaviva, nonostante una crisi che impatterà tutte le aziende di settore. Secondo i sindacati dovrà servire a lanciare un grido di allarme da parte dei lavoratori, una sorta di sveglia alle istituzioni nazionali, affinché il governo Renzi, il Ministero dello Sviluppo Economico svolgano in maniera decisa quel ruolo di negoziazione e soprattutto di moralizzazione di un intero settore che non rispetta le regole e pretende di bypassare i contratti collettivi nazionali. In tutto questo, ci sono i sindacati che tra errori e incertezza, sono già delegittimati da un’azione governativa incessante che mira a svilire il ruolo delle parti sociali e incapaci di trovare risposte certe di fronte la frustrazione dei lavoratori i loro sforzi vanificati.
Lavoro al massimo ribasso di diritti
Nel momento in cui il governo non oppone nessuna resistenza nei fatti alle richieste dell’azienda che trova come unica soluzione quella di far pagare la crisi ai lavoratori, lasciando le parti sociali sole davanti le loro rivendicazioni, appare una dimostrazione semplice della volontà di arrivare alla data del 20 dicembre, con sul tavolo solo una proposta ricatto, come ultima spiaggia per i lavoratori. Poi ci sono ci sono i lavoratori Almaviva che da un lato incassano a parole l’appoggio di tutte le istituzioni locali, dall’altro vivono tra rabbia, disillusione e paura questi giorni incerti, con la consapevolezza del rischio di arrivare l’ultimo giorno utile con una proposta che li metterà davanti il bivo se bere acqua salata oppure decidere di affogare.
Bivio che sembra essere l’obiettivo della politica del governo sin dal l’approvazione del Jobs act per fare in modo che la ricerca di competitività a tutti costi venga da un progetto che dia: lavoro meno sicuro, meno diritti, stipendi ridotti e che distrugga del tutto la credibilità delle parti sociali.
Almaviva è il punto di partenza che mostra il modus operandi del governo Renzi, a pagare però non saranno solo i lavoratori Almaviva, ma sarà l’intero Paese.