Referendum costituzionale: un risultato che sorprende, va capito e analizzato

Il referendum del 4 dicembre ha espresso un verdetto, per certi versi, inaspettato per lo scarto tra le due opzioni in campo.

Come era successo, recentemente, per le elezioni americane, anche il referendum sulle modifiche costituzionali, tenutesi domenica scorsa nel nostro Paese, ha sorpreso, non poco, gli analisti e i commentatori. Lo scarto che si è verificato tra i sostenitori del no e quelli del si, è stato di circa 20 punti percentuali, con circa sei milioni di votanti di differenza. L’impegno profuso dal nostro Premier Renzi, soprattutto nelle ultime settimane della campagna elettorale, non ha consentito il recupero auspicato.

Gli stessi analisti, e gli istituti di sondaggio avevano registrato, o percepito, una realtà leggermente diversa. Fino a che la legge ha consentito la pubblicazione degli stessi sondaggi, lo scarto tra il no, che era in vantaggio, e il si era di pochi punti percentuali. Per cui si pensava che la campagna, anche mediatica, portata avanti dai sostenitori del si avesse consentito un recupero del distacco, se non il sorpasso. Almeno questa era la sensazione registrata dai giornali, e dagli analisti. Invece, come è noto, il risultato espresso nelle urne ha sorpreso tutti.

Cosa è successo? Quali sono stati i motivi alla base della debacle dei sostenitori del si? Questi ed altri interrogativi vanno sciolti e chiariti, con serenità di giudizio.

A nostro avviso il Paese, anzitutto, ha voluto mandare un messaggio preciso ed inequivocabile alla classe dirigente, di qualunque colore, di qualunque opinione. Un messaggio forte e chiaro: i problemi dei cittadini sono altri e di più evidente gravità. Non bastano gli annunci, non bastano le mance elettorali. La crisi economica che attanaglia il Paese, e segna gravemente i bilanci delle famiglie italiane, fa sentire, ormai, da anni i suoi morsi.

Tutti gli indicatori economici mostrano un Paese in affanno, con un aumento serio di sacche di povertà. E questo per le famiglie dei nostri connazionali è più importante e serio della riforma costituzionale, pur non negando la necessità di porre dei correttivi al nostro sistema, alle regole che governano il nostro Paese. Gli elettori hanno espresso anche il loro dissenso rispetto al modo con cui si è consumato il confronto tra gli opposti schieramenti. Quasi nessuno è entrato nel merito della questione. Quasi nessuno ha cercato di spiegare il motivo del contendere. Raramente si è visto qualcuno, compreso il Premier, al di la di vuoti slogan, chiarire agli elettori le modifiche apportate e i motivi che ne erano alla base.

Alcune riforme, previste, non sono state capite ed apprezzate. Che il Paese ha bisogno di un modo più snello, e meno burocratico, di funzionare è percezione diffusa nei cittadini, per le lungaggini di certe procedure, ad esempio, e per lo spreco di risorse perpetuato da molte amministrazioni pubbliche. Ma le soluzioni propugnate dal governo, con la riforma oggetto del referendum, ad avviso della stragrande maggioranza dei votanti non sono sembrate la soluzione giusta.

Facciamo l’esempio delle Province. La loro strombazzata eliminazione è sembrata ai più una presa in giro. Le funzioni, nella stragrande maggioranza, rimanevano le stesse, con un aggravante determinata da un minore afflusso di risorse economiche. Il problema del personale in dotazione, che sarebbe stato solo in parte lasciato al proprio posto, rimaneva in tutta la sua interezza, salvo pensare di spostarne una parte a svolgere, ad esempio, la funzione di cancelliere nei tribunali, senza avere le competenze. Forse una semplice norma che stabilisse che le cariche elettive fossero svolte gratuitamente, avrebbe risolto il problema, e mandato un messaggio chiaro ai cittadini, che avrebbero apprezzato.

Oppure, sempre a mo’ di esempio, che la doppia lettura delle leggi non serviva, e di conseguenza era inutile la doppia Camera. Questo doveva portare all’abolizione del Senato, oppure mantenere le due Camere, con compiti diversi, anche se con i dovuti contrappesi, e ridurre i parlamentari in tutti e due rami del Parlamento.

Rimaniamo dell’idea che per gli elettori erano altre le priorità. Ad esempio, il voto espresso dai giovani cittadini, orientato prevalentemente verso il no, rappresenta un malessere evidente di una generazione, malgrado lo strombazzato jobs act, che vive il dramma di una mancanza di lavoro che ne sta minando le aspettative. Quello della disoccupazione giovanile è uno dei drammi del nostro Paese, e la percezione che ne hanno i giovani, manifestata come detto con il voto domenica, è completamente diversa da quella del governo e di tutta la classe dirigente italiana.

Oppure il problema dei migranti affrontato dal governo Renzi in maniera poco appezzata dai cittadini italiani. Senza entrare nel merito, certamente il disagio di molti connazionali che, dopo una vita di lavoro, vivono con difficoltà non va sottovalutato. Quando si pensa che sia più opportuno, ad esempio, investire molte risorse per garantire una giusta e doverosa accoglienza alle migliaia di profughi o rifugiati, e non garantire le stesse attenzioni ai tanti connazionali che vivono nell’indigenza, non consente, chiaramente, a questi di capire la necessità di una riforma, tra l’altro non spiegata a dovere, e non di primaria importanza.

A tutto questo va aggiunto che tutti, ma proprio tutti, gli analisti non pensavano che ci fosse una buona affluenza, visto la crescente disaffezione al voto da parte degli italiani. La percentuale di votanti, invece, che si è verificata è un’altra lezione che la classe dirigente ha ricevuto. E’ palese, ancora una volta, la distanza siderale tra il Paese reale e quello legale. Ed è, questa, la prima emergenza italiana. Forse la classe dirigente farebbe bene a prendere nota e a cambiare registro comportamentale. Basta con le liti pretestuose, con le finte divergenze. Il Paese ha bisogno di serietà e serenità: questo a nostro avviso il messaggio più evidente venuto fuori dalla contesa di domenica 4 dicembre. Ed è questo che va registrato.

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