La drammatica vicenda di Fabo, pone, ancora inaspettatamente, in evidenza i ritardi del nostro Parlamento.
I mezzi di comunicazione in questi ultimi giorni sono stati occupati dalla triste e toccante vicenda del dj Fabo. Vicenda che merita qualche riflessione.
Il quarantenne, come è noto, da anni cieco e tetraplegico, a causa della scarsa attenzione, che la classe politica italiana riserva a situazioni del genere, ha scelto di farsi portare in Svizzera, allo scopo di porre fine ad una vita che non era più tale da tempo.
L’intera vicenda ha visto il silenzio di buona parte della classe dirigente di questo Paese, incapace di affrontare, senza ipocrisia e con coraggio, un problema serio, da troppo tempo rimosso ed accantonato.
Un Paese che riesce ad affrontare, con senso di civiltà encomiabile, il problema delle unioni civili, forse per il recondito timore di essere tacciati di omofobia, non riesce a capire il dramma rappresentato da tante situazioni come quella di Fabo.
Eppure basterebbe poco: compenetrarsi. Capire il dramma che vive la persona ridotta a larva umana, senza possibilità alcuna di guarire, o migliorare la propria condizione, oppure la sofferenza che subisce lo stesso ammalato, o i familiari dello stesso, stretti tra l’incapacità di aiutare il familiare, e la lotta contro l’ottusità di una legge che vieta di risolvere il problema, e porre fine al dramma umano.
Spesso guardiamo ammirati le legislazioni di altri Paesi, ma lo facciamo soltanto quando ci fa comodo. E, invece, sarebbe opportuno che si guardasse alla civiltà di un altro Paese nel suo insieme, sottolineandone, al meglio, le opportunità di soluzioni che vengono offerte alla comunità che si governa.
Il suicidio assistito di Fabo rappresenta l’ennesimo fallimento di una classe politica che non riesce a stare sui problemi seri, per perdersi in oziose litanie per niente interessanti per la collettività.
Ci si augura che, finalmente, si ponga mano in Parlamento al problema del testamento biologico.
Un problema serio da affrontare con serietà e consapevolezza, al fine di poter offrire a chi è condannato, come è il caso di Fabo, la possibilità di decidere della propria vita quando è segnata così drammaticamente dal dolore e dalla sofferenza.