Il dibattito che si svolge all’interno del PD evidenzia lo stato di disagio di una classe dirigente mediocre.
Da quando Matteo Renzi è entrato, prepotentemente, sulla scena politica nazionale, il suo partito, il PD, è stato segnato , malgrado la maggioranza fosse appannaggio del nuovo leader, da continui discussioni, in qualche caso surreali. Qualcuno, che pure si era candidato alle primarie, come Civati, è uscito dal partito, qualche altro, in certi casi in maniera pretestuosa e ridicola, ha minacciato di uscire, ogni qualvolta una decisione, presa a maggioranza non lo garbava.
Nel periodo in cui Matteo Renzi ha ricoperto il doppio incarico, segretario del partito e capo del governo, i dissensi si sono amplificati, recando un grave danno, non solo d’immagine, al partito tutto. In tale lasso di tempo l’impegno di Renzi è stato dedicato, in buona sostanza, prevalentemente all’attività di governo. I problemi sul tappeto erano e sono seri, e richiedevano un impegno costante. Di conseguenza l’attenzione riservata al partito non è stata all’altezza delle necessità, e delle scadenze elettorali, e questo ha comportato problemi sia di identità, che di risultati.
In effetti, a parte il vistoso successo ottenuto alle elezioni Europee, il Pd ha inanellato una serie di risultati negativi, sia nelle elezioni regionali del maggio 2015, sia nelle elezioni amministrative comunali, dove il PD ha visto un calo sensibile sia in termini percentuali, che in termini di voti. La sconfitta rimediata al recente referendum del 4 dicembre 2016 ha accentuato, con le dimissioni da capo del governo di Renzi, la crisi del partito.
Gli avversari all’interno, ringalluzziti dal suddetto risultato, hanno ripreso con tambureggianti interventi a rimestare nel torbido creando un clima litigioso che non rende un buon servizio al partito, e al Paese.
In molte realtà il partito ha mostrato la sua inadeguatezza, sia rispetto ai problemi delle comunità nelle quali è presente, sia per una qualità della sua classe dirigente, abbastanza modesta. La lotta tra le diverse componenti, o diversi leader, si è trasferita dal piano delle idee a quello del potere fine a se stesso, con il proliferare di signori delle tessere. Lo stesso strumento delle primarie, che pure ha consentito qualche brillante scelta, è entrato in crisi, con esempi non decorosi messi in mostra negli ultimi tempi, e su tutto il territorio nazionale.
Le ultime vicende emerse a Napoli rispetto alle candidature, sottolineano la grave crisi di credibilità in cui versa il partito, per troppo tempo trascurato dalla segreteria nazionale. Come anche gli attacchi, di alcuni governatori regionali, contro la segreteria nazionale sottolineano.
Il PD da’ l’impressione di essere in una crisi profonda: poche idee su come risolvere i problemi veri della gente, una difficoltà concreta a definire che cosa si voglia essere, e chi rappresentare, una oggettiva carenza, a parte qualche lodevole eccezione, di una classe dirigente che si dimostra per niente all’altezza delle sfide che attendono un partito moderno.
Il partito ha la necessità di riprendere a discutere, magari anticipando il congresso. Vi è una oggettiva necessità di definire strategie e idee al più presto, allo scopo di chiarire anche al Paese che cosa si vuole fare, e come farlo. Per fare questo c’è bisogno di trovare l’equilibrio e la serenità, per ridare al dibattito, e alla discussione, l’opportunità di trovare la necessaria sintesi che, una volta suffragata dal voto, sia rispettata ed osservata da tutti.
E’ la prima regola della democrazia, ed è bene che da tutti venga ricordata, se non si vuole distruggere una bella realtà che se rinvigorita potrà solo fare bene al Paese.