“Se ve li siete persi” è la Rubrica dedicata alle opere di letteratura, con la quale ogni settimana proponiamo un libro da non perdere.
Storia noir ambientata in Calabria, contrassegnata dalla lotta tra un magistrato “sui generis, e un vecchio boss della ‘ndrangheta.
Il libro pubblicato, nel 2013 per i tipi della Garzanti, arriva dopo i successi di “Il giudice meschino”, e “La signora di Ellis Island”. Non è facile ripetersi. Ma, a mio avviso, Gangemi regala, anche in questa occasione, un buon libro che si fa leggere con un certo pathos, soprattutto in alcune pagine.
Lo scrittore calabrese conosce bene la sua terra, con i suoi umori, i suoi usi, i suoi caratteri, il suo dialetto. Ebbene Gangemi riesce, in questo libro, a mettere in risalto tutti questi aspetti della realtà calabrese, soprattutto di quella interna.
Il libro parte da una rivolta, quella dei neri che si sentono sfruttati dalla criminalità locale, soprattutto quella, per intenderci, legata al mondo del lavoro nei campi. Fondamentalmente, però, questa rivolta avrà un ruolo secondario, è quasi un pretesto, nella vicenda che narra, essenzialmente, della lotta tra un magistrato, poco stimato e poco ben visto, dal suo capo, a causa dei suoi “vizi”, e del suo modo poco ortodosso di condurre le indagini, e un potente boss della ‘ndrangheta.
Fondamentalmente il libro, con la sua storia, è la rappresentazione di caratteri coinvolgenti. Da un lato Alberto Lenzi che, per gli atteggiamenti, è un vero e proprio antieroe: poco amore per i luoghi comuni, poco amante del conformismo. Soprattutto, Lenzi, si rivela uomo di legge con i suoi dubbi, e con qualche opportuna incertezza. Suo alter ego è il vecchio boss Don Mico Rota, personaggio malevole, ma di grande impatto, per la furbizia che mette in campo, per sviare e fregare gli avversari, e la stessa legge incarnata da Lenzi. Don Mico accompagna, di solito, i suoi discorsi, le sue chiacchierate con gli altri interlocutori, con suoi racconti volutamente metaforici, dietro cui spesso si nasconde un messaggio chiaro e diretto, ma non detto in maniera esplicita.
Il personaggio di Don Mico Rota mette in evidenza anche una saggezza, figlia dell’età e del ruolo, che in alcuni passi è coinvolgente.
La lotta che, in maniera sottile, viene affrontata dai due personaggi ha, anche, connotazioni culturali. Ed è proprio da questo tipo di connotazione che si dipana la vicenda e che vede, alla fine prevalere il giudice, che non si lascia irretire, o abbagliare, dalle false piste messe in campo dall’ ‘ndrangheta. E questo, anche e soprattutto, perché Lenzi conosce la realtà nella quale è nata, e prospera, questa potente organizzazione criminale.
Il libro ha, anche, pregio di presentare altri caratteri ben delineati: dal procuratore capo, all’avvocato del boss, dall’amico fidato di Lenzi, alle donne di questi, ai personaggi, alcuni straordinari, abituali avventori del circolo.
La scrittura che usa Gangemi riesce a coinvolgere il lettore, anche quando si abbandona ad una terminologia dialettale. Un buon libro, quindi, che si consiglia a chi ama il genere noir.