[highlight]Lavoratori di Almaviva Contact in mobilitazione in vista dello sciopero di venerdì 27 ottobre e il Comune di Napoli si prepara denunciare l’azienda.[/highlight]
Un braccio di ferro senza fine quello tra Almaviva contact e parti sociali e lavoratori, con il Governo a fare da debole mediatore, nella persona del Ministro Calenda e del vice ministro Teresa Bellanova. Debolezza governativa che si è dimostrata in questi mesi dopo l’accordo del 30 maggio quando governo, sindacati e azienda avevano trovato una soluzione ponte che scongiurava in quel momento gli oltre tremila esuberi. Esultava Renzi su twitter quel giorno ed esultavano le parti in causa, ma in realtà non avevano risolto nulla, se non rimandare l’inevitabile visto il successivo immobilismo del governo.
Quel giorno avevamo scritto su queste pagine che quell’accordo non risolveva nulla e non salvava nessuno, ma rimandava, mettendo i lavoratori in uno stato di continua e invivibile precarietà fatta di flessibilità e terrorismo aziendale .
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Quelle fosche aspettative si sono concretizzate con l’inizio dell’autunno caldo e con la decisione dell’aziensa, questa sì sorprendente, di chiudere le proprie sedi di Roma e Napoli, salvando la sede di Palermo, che su dichiarazione aziendale diventerà il centro principale di Almaviva contact, salvo poi comunicare il trasferimento di circa 140 lavoratori da Palermo a Rende.
Una “bomba sociale” di questa portata, capace di coinvolgere oltre duemila lavoratori, non poteva che suscitare l’attenzione dei principali organi di stampa e delle istituzioni locali. Un impatto che se nel breve periodo coinvolge i lavoratori di Almaviva e della Gepin di Casavatore, nel medio lungo periodo coinvolge l’intero settore con circa ottantamila posti di lavoro a rischio.
Crisi perenne
I motivi della crisi si sono più volte ripetuti, perché quando si parla di call center si considera un settore secondario, ma che copre una fetta di forza lavoro amplissima con prospettive lavorative pari a zero. Sono anni che Almaviva denuncia le problematiche incombenti nella speranza che i tavoli governativi riuscissero a salvare un settore in crisi ormai irreversibile. Sì, perché l’irreversibilità oltre a darla il mercato che fugge all’estero alla ricerca di contesti lavorativi più liberi da vincoli e più economici, si acuisce le già deboli leggi non si fanno rispettare. Uno dei cavalli di battaglia della protesta dei lavoratori è l’articolo 24 bis che prevede l’obbligo per gli operatori di permettere una scelta da parte dell’utente, a partire dalla provenienza del assistente con cui parlare. Fino a quando non verranno fatte rispettare queste regole, fino a quando le aste al massimo ribasso non saranno punite e non si coinvolgeranno nella questione i commitenti che continuano a inviare chiamate all’estero preferendo il lavoro malpagato e per nulla garantito e protetto, non si troverà una soluzione.
Le offerte al ribasso
Parole che suonano familiari perché sono le stesse che usavamo mesi fa per descrivere la crisi Almaviva e nonostante le promesse del governo, nulla è stato fatto di efficace per mettere a punto un sistema che freni quella che è diventata una vera e propria giungla senza regole in cui prevale la migliore offerta al ribasso. Senza considerare nessuna delle varie professionalità che c’è in ballo, oltre la dignità dei lavoratori. Parole come diritti, salari sono solo degli impedimenti all’unico interesse aziendale che è quello di produrre a qualsiasi costo. Nel mondo dei call-center le grandi società spingono al massimo l’acceleratore per frenare costi e utili scappando all’estero. Il paradosso è che anche molte aziende a partecipazione statale sparse nel Paese che si accaparrano commesse attraverso gare al ribasso. Gare che sono vinte con un costo al minuto di chiamata che in Italia non sarebbe sufficiente per garantire gli stipendi.
Si chiude
In questo contesto di immobilismo e di perdite è arrivata come un fulmine a ciel sereno (ma tanto sereno non lo era) la decisione di Almaviva di chiudere le due sedi di Roma e Napoli, per le continue perdite di bilancio, i costi fissi fuori mercato e l’immobilismo governativo, che secondo l’azienda ha portato la situazione irreversibile e insostenibile. In realtà, anche Almaviva da mesi ha aperto due sedi all’estero, nello specifico in Romania,operatori formati da lavoratori italiani che saranno anche loro coinvolti negli esuberi. Una crisi aziendale che la proprietà ha voluto circoscrivere solo in determinati centri, salvandone altri, sono sorpattutto di natura competitiva delle sedi. I sindacati hanno attaccato l’azienda giudicando paradossali i motivi che hanno portato a questa decisione Almaviva.
[quote] La volontà della proprietà di chiudere i due siti in questione e il conseguente spostamento delle commesse in altre sedi, l’attivazione di breafing formativi per gestirle unitamente all’assunzione di lavoratori interinali su alcune sedi dimostrano che l’azienda può spostare, con facilità e in breve tempo, commesse e volumi di chiamata a suo piacimento! Emerge in maniera lampante l’infondatezza di ciò che l’azienda ha sempre spacciato come un impedimento oggettivo a qualsiasi soluzione alternativa, che andava contro la sua logica di massimizzazione dei profitti, anche quando in gioco c’era la sopravvivenza materiale di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie: l’impossibilità di distribuire il lavoro sulle varie sedi per impedimenti tecnici e commerciali. Se a questa verità di fatto aggiungiamo le dichiarazioni del Sottosegretario Bellanova, la quale afferma che “un ammortizzatore sociale conservativo di 12 mesi (CIGS) c’è ed è finanziabile e utilizzabile”, si arriva ad una semplice conclusione: i licenziamenti devono essere ritirati e l’ammortizzatore sociale deve essere attivato su tutte le sedi di Almaviva Contact in modo equo! La “crisi” Almaviva può essere risolta a livello nazionale con il minore aggravio economico possibile per dei lavoratori, che già percepiscono salari “da fame”, e non utilizzata come ricatto per abbassare salari, diritti e per peggiorare le condizioni di lavoro![/quote]
Controllo individuale
Lo spostamento della crisi aziendale a tutti i centri è stato sempre bloccato da un netto rifiuto dell’azienda che anzi attacca i sindacati a causa del mancato accordo sul controllo individuale della produttività (impegno sottoscritto dalla CGIL-CISL-UIL-UGL nell’accordo di solidarietà in essere) indicato da Almaviva come una delle motivazioni dell’avvio delle procedure di licenziamento.
Controllo individuale oltre che andare contro le attuali leggi sulla privacy, potrebbe scatenare un effetto domino sulle altre aziende di settore e rappresenterebbe più che un incentivo alla produttività e alla qualità, l’ennesimo strumento di pressione dei datori di lavoro sui lavoratori e un’agile arma di ricatto e di licenziamento.
Il ddl concorrenza
L’allarme lavorativo di un intero settore che mette a rischio ottantamila posti di lavoro, ha finalmente messo in allarme anche il Mise, che ha dovuto registrare la lentezza del ddl concorrenza fermo in parlamento da due anni, con la promessa di agire con decreto d’urgenza contro la delocalizzazione dei call center.
La protesta
Intanto i lavoratori sono in mobilitazione e protesta. A Palermo si protesta per il trasferimento di 154 lavoratori a Rende, a causa della perdita della commessa Enel da parte di Almaviva. Roma e Napoli sono invece in mobilitazione in vista dell’incontro di venerdì 27 ottobre al Mise. I presidi dei lavoratori hanno cercato di coinvolgere le istituzioni locali, a Napoli sia la Regione Campania che il Comune di Napoli. Proprio ieri il Consiglio comunale si è riunito in sessione straordinaria per emanare un ordine del giorno in difesa della sede napoletana e difendere gli oltre ottocento dipendenti a rischio licenziamento. La commissione lavoro del Comune ha elaborato un documento in cui respinge con fermezza la decisione dell’azienda di chiudere un sito produttivo così importante per la città, dando poi mandato all’avvocatura comunale di intraprendere un’azione legale contro l’azienda Almaviva per tutti i danni economici e sociali causati dalla condotta, minacciando un azione di rivalsa per tutte le agevolazioni e contributi locali ricevuti.
Una protesta che non dovrebbe coinvolgere solo le sedi di Napoli e Roma, ma tutte le aziende di settore, perché la battaglia dei lavoratori di Almaviva contact, coinvolgerà in un futuro più o meno prossimo tutti gli operatori del settore callcenter.
Parallelamente alla protesta dei lavoratori Almaviva prosegue quella dei lavoratori della Gepin di Casavatore per cui è prevista oggi la prima seduta del Consiglio della città metropolitana oltre al corteo oggi al Mise.
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Per quanto riguarda il destino dei lavoratori di Almaviva non resta che attendere il 27 ottobre data dell’incontro al Mise tra governo, parti sociali e azienda oltre che gli enti locali. La decisione dell’azienda sembre irrevocabile, così come non molto ampi appaiono i margini di manovra dell’viceministro Bellanova con misure esecutive nel breve periodo.
Non c’è molto tempo per salvare i lavoratori impattati visto che il prossimo 18 dicembre scadrà la procedura di mobilità.
Fino a ora sono state spese belle parole, tante promesse ma pochi fatti.È ora che tutti si assumano la responsabilità per le loro omissioni e l’incapacità di porre un decisivo salvagente a una crisi che non sembra avere fine.