[highlight] Le condizioni contrattuali accettate hanno scongiurato i tremila licenziamenti, ma il rischio è quello di aver dato il via a una fase ancora più precaria, con la certificazione ufficiale della crisi solo rimandata, su basi che i lavoratori avevano già rigettato nel referendum aziendale. [/highlight]
La vertenza Almaviva si è conclusa nella notte tra lunedì e martedì con l’accordo in sede del Ministero dello Sviluppo Economico. La trattativa durata un’intera notte, è giunta alla fine dopo mesi di protesta da parte dei lavoratori che, tra scioperi, tensioni e mobilitazioni, hanno lottato contro la procedura di mobilità per tremila risorse, dichiarata per le sedi di Roma, Napoli e Palermo.
Abbiamo già trattato della vertenza Almavivae delle problematiche che affliggono da tempo il settore dei callcenter in Italia, ormai sempre più nel baratro, tra aste assegnate al massimo ribasso che favoriscono quelle aziende che puntano sulle delocalizzazioni e sulla svendita del lavoro in Italia.
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La soluzione della vertenza
Ad annunciare in toni trionfanti e festosi è stato il Viceministro Teresa Bellanova, che su Facebook ha mostrato tutta la soddisfazione per l’accordo raggiunto e il mantenimento delle promesse fatte poco dopo la conclusione della trattativa.
[Quote] Avevamo detto che non avremmo lasciato soli quei 3000 lavoratori, per i quali l’azienda aveva avviato la procedura di licenziamento. Con l’accordo firmato oggi, quella procedura è revocata. [/quote]
Cosa prevede l’accordo
Vediamo su cosa hanno trovato l’accordo i vertici aziendali e sindacati, con la mediazione del Viceministro, dopo che per mesi la dirigenza di Almaviva aveva dichiarato la situazione dei tre centri coinvolti insostenibile e ormai irreversibile, “affetti” da problematiche strutturali e buchi di marginalità, non più recuperabili attraverso ammortizzatori temporanei.
L’impegno del Governo
Il Governo si è impegnato con i due Ministeri dello Sviluppo Economico e del Lavoro a porsi come garante dell’accordo e a programmare un continuo tavolo di confronto a cadenza mensile per monitorare costantemente sviluppi della vertenza. Il Vice Ministro Bellanova ha confermato la sua intenzione di voler mettere in atto tutte le iniziative necessarie a rilanciare e consolidare l’intero settore dei customer care.
L’azienda
L’accordo concluso alla presenza dell’Amministratore delegato di Almaviva Andrea Antonelli, dovrà essere approvato dal Consiglio di Amministrazione. Almaviva non si è ancora espressa ufficialmente, però può considerare il riscontro e la conferma della crisi che ora è certificata nero su bianco dai verbali firmati, come un ottimo passo avanti. Infatti, la certificazione scritta della crisi è importante per i futuri risvolti della vertenza, mentre il prefigurare gli ammortizzatori solo sui tre centri “incriminati”, condizione importante perché così la solidarietà oltre che la Cigs verranno applicate solo sui tre centri e non su tutte le sedi della divisione contact di Almvaviva, così come aveva sempre voluto l’azienda e che era una delle condizioni più contestate nelle precedenti settimane anche dai sindacati. Oltre agli ennesimi ammortizzatori sociali, Almaviva ottiene dei corsi di formazione finanziati con soldi pubblici, oltre che una maggiore flessibilità nella gestione degli istituti, proprio in vista del periodo caldo per le aziende in outsourcing, quando i callcenter delle committenze dovranno affrontare i piani ferie e si troveranno quindi con l’esigenza di trasferire più chiamate verso aziende come Almaviva.
E i lavoratori?
Sono tanti i punti oscuri e gli interrogativi che minano e turbano il futuro dei lavoratori, rimasti scontenti dall’esito della vertenza,sSebbene questo accordo sia considerato da chi vive dall’esterno la realtà aziendale, come una svolta positiva per la vertenza Almaviva, con la speranza di contribuire a riportare trasparenza nel mercato del settore e consolidarlo. Infatti, quelli che si definiscono con tono disilluso come “esuberi ormai certificati” non sono rimasti contenti dalla firma ed esprimono tutta la delusione dell’accordo raggiunto.
“Grazie a questo accordo peggiore di quello rifiutato nei referendum si è certificato anche un peggioramento delle nostre condizioni lavorative e ci espone a questi comportamenti aziendali unilaterali e discutibili. Non mi pagano la reperibilità e non sono tenuto a visualizzare ogni minuto la pagina degli orari di lavoro dell’azienda, come possono permettersi di mettermi ferie e permessi o impormi la solidarietà senza preavviso o con l’avviso di un solo messaggio che non sono tenuto a vedere, mentre la legge parla di telegramma e comunicazione ufficiale, che qui in azienda non sanno neanche cosa sia. Tutto questo è frutto di un accordo a cui avevamo detto no, una proposta che puntava a incentrare gli esuberi solo su Roma Palermo e Napoli e in piccola parte negli altri centri, oggi invece, ci ritroviamo con un accordo imposto anche peggiore, visto che sono sparite le percentuali di solidarietà negli altri centri, mentre permetta all’azienda di fare quello che vuole, imponendoci ferie, permessi, giornate o ore di solidarietà anche senza preavviso. Siamo esposti continuamente a un continuo mobbing aziendale che forse punta a farci andare via. Possiamo mai continuare così per diciotto mesi?”
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Quel no all’accordo di settimane fa che è stato riprosto in termini anche peggiori, ma che per i fautori della trattativa garantisce comunque una possibilità di trattare.
La domanda che molti si pongono è però, quella di quali speranze possono riporre i lavoratori in un’azienda del tutta insensibile allo stress accumulato in questi giorni e che si comporta il giorno dopo la chiusura dell’accordo in questo modo nei confronti di lavoratori che sono ormai stanchi di combattere per uno stipendio che è vicino alla soglia di sopravvivenza?
I punti critici di settore sono ancora lì sul tavolo, ma si continua a rimandare. Vedremo nei prossimi mesi come evolverà la situazione e come l’affronteranno i tavoli di settore, su cui tanta fiducia ripongono i sindacati. Tavoli che dovranno affrontare quelli che sono i problemi più importanti del settore, il rispetto e l’inasprimento delle regole per arginare le clausole al massimo ribasso nelle gare che, assegnando gli appalti sotto il costo del lavoro contrattuale e che creano una competizione malata minando la buona occupazione; l’applicazione seria dell’art 24 bis del Decreto Sviluppo 2012 che, dando ai cittadini la possibilità di scegliere da dove vogliono che arrivi la risposta alle proprie chiamate, può riportare in Italia una parte consistente del lavoro; applicazione della clausola sociale nel cambio di appalti nei call center, che è ormai legge dello Stato e regolata dall’accordo siglato tra Organizzazioni Sindacali e Asstel.
Tavoli di confronto a cui devono affidarsi anche i lavoratori e sperare che in diciotto mesi qualcosa possa cambiare, oltre ogni pressione e terrorismo psicologico da parte dell’azienda, che dal canto suo dovrebbe ammorbidirsi e capire che l’inasprimento delle relazioni aziendali, in questi momenti delicati, non giova a nessuno.