[highlight]Guido De Martino si apre in seguito all’inaugurazione di Largo Francesco De Martino per poter far meglio comprendere la figura di suo padre[/highlight]
Lo scorso 9 aprile nasce al Vomero, più precisamente al civico 262 di via Aniello Falcone, largo Francesco De Martino. La memoria del segretario storico del PSI, Francesco De Martino, viene onorata con la presenza di illustri figure del palcoscenico politico e culturale del nostro Paese. L’onorevole è stato per tanti anni un punto di riferimento per molti giovani italiani, non soltanto quanto uomo politico, ma anche come studioso del Diritto Romano. Eppure oggigiorno pochi sono quelli delle nuove generazioni che conoscono effettivamente Francesco De Martino. Abbiamo scambiato qualche parola con il figlio dell’anche senatore, Guido, per poter meglio comprendere le sfaccettature di una così elevata personalità.
Dott. Guido De Martino lo scorso 9 aprile è stato un giorno molto importante per la sua famiglia, quali emozioni prova per questo riconoscimento dedicato a suo padre?
Il riconoscimento della Città di Napoli a mio padre, attraverso la proposta del Consiglio Comunale nella sua pressoché totale interezza e della successiva delibera della Giunta presieduta dal Sindaco Luigi De Magistris, con l’intitolazione di un luogo significativo, perché su di esso affacciava l’abitazione in cui Egli visse ed operò per circa cinquant’anni, è stato indubbiamente un atto che ha inteso sottolineare l’appartenenza di questa figura alla vita attiva della città, dandole un significato che va oltre la cronaca cittadina, inserendola a pieno titolo nei tempi lunghi della storia cittadina. Il Presidente Emerito della Corte Costituzionale Francesco Paolo Casavola ha parlato nel suo intervento a conclusione della cerimonia di un segno di “eternità civile”. Per chi crede nell’eternità non c’è nulla che possa dirsi di più e andare oltre: è il massimo perché nell’infinità del tempo non c’è un limite e quindi non c’è un oltre. Ma per chi non crede nell’eternità del mondo è ancora di più, perché il solo immaginare, nei tempi finiti del mondo, che ci può essere qualcosa che può rompere questa finitezza costituisce, per così dire e se possibile, un valore superiore perché indica lo “sforzo” che l’umanità, e gli uomini che la incarnano, compie nei tempi storici che le sono dati per “superare” se stessa, esprimendo quindi il senso di una illimitata possibilità costruttrice, al di là di ciò che essa e, finché le è dato di essere e di esprimersi. Se queste osservazioni hanno un fondamento esse dicono che l’evento vissuto, sul piano emozionale, genera sentimenti in certo senso indicibili ed emozioni inesprimibili, che solo chi le vive può sentire nella loro pienezza.
Se si pensa alla formazione della nostra Repubblica di sicuro balza alla mente il nome di suo padre, Francesco De Martino: giurista, storico e statista, così come indica la targa in suo onore. Nonostante ciò, il suo nome rimane oscuro a molti, soprattutto fra quelli delle nuove generazioni. Se dovesse raccontar in poche parole chi era Francesco De Martino, cosa direbbe?
E’ impossibile in poche parole delineare la sua Personalità di studioso e uomo politico. Posso sommariamente sottolineare che Egli è stato tra i costruttori della democrazia repubblicana, nata dalla Resistenza antifascista e fondata sulla Costituzione. Che lottò, alla luce degli ideali del Socialismo, per costruire una società più giusta, di liberi ed eguali. Che ottenne successi e insuccessi. Che con la sua azione contribuì in maniera nient’affatto secondaria al progresso della società italiana. Che come studioso del diritto apportò significative innovazioni nella ricerca giuridica scrivendo opere che lo pongono ai massimi livelli fra gli studiosi del Diritto della seconda metà del Novecento, non solo in Italia, ma nel mondo intero. Perfino in Cina stanno, in questi anni traducendo la sua “Storia della Costituzione Romana” in sei poderosi volumi. Che infine fu un uomo tutt’altro che amante del potere, pur avendo svolto funzioni di partito e di governo di altissima responsabilità e per non brevi periodi, ma dalla vita semplice e dai costumi quanto mai sobri e morigerati. Sempre operoso negli studi o nella vita politica, senza per niente trascurare perciò gli affetti familiari, cui teneva sommamente. Oggi, è vero, non è conosciuto dai giovani, e non solo. Come tantissimi altri, i cui meriti sono ignoti ai più ma non per questo hanno demeritato. Ma chiunque si voglia avvicinare alla storia del Novecento del proprio paese o agli studi giuridici sull’antichità, non può non imbattersi e “scoprire” Francesco De Martino. Conoscerlo e studiarlo, mi si creda, farebbe proprio bene a tutti, e in primo luogo proprio ai giovani, che hanno quanto mai bisogno di conoscere e riconoscersi in vite non effimere ma esemplari cui potersi ispirare, come fu certamente la sua.
Per suo padre l’opportunità di studiare alla facoltà di Giurisprudenza di Napoli come allievo di Enrico De Nicola, primo presidente della Repubblica Italiana, ha lasciato indubbiamente il segno tanto da dedicare gran parte della sua vita anche agli studi del diritto, in particolare la materia romanistica diventando a sua volta una guida per i futuri giuristi. Secondo lei quanto può aver contribuito il suo sapere e l’operato allo sviluppo della forma mentis di neo giuristi?
Il suo magistero di docente e di studioso, a detta dei suoi allievi e dei suoi colleghi fu quanto mai fecondo lungo i vari decenni del suo insegnamento universitario. Egli insegnò che il diritto non è astrazione o formalismo, ma è espressione e regolazione dei rapporti civili sociali ed economici, che si manifestano nella società. Alla indagine storica di come questi rapporti si svilupparono dall’origine della civiltà italiana dedicò tutta la sua vita di studioso, dagli anni trenta del Novecento fino alla sua scomparsa nel 2002, a 95 anni. Sulla sua scrivania trovai uno saggio, cui stava ancora attendendo di oltre 60 pagine, incompiuto, ma, mi fu detto dagli studiosi del campo, fortemente innovativo per nuove ipotesi interpretative sulla fine di Roma antica. In questo senso penso che il suo insegnamento fu, ed è ancora, proficuo per tutti colori che, nel campo del Diritto, si dedicano agli studi e alla professione. Gli Avvocati di Napoli hanno inviato un messaggio in cui “Testimoniano che la fama del giurista prof. Francesco De Martino è una luce che promana da lontano per illuminare anche le più giovani generazioni degli Avvocati del glorioso foro napoletano e che non hanno avuto la fortuna di conoscerlo mentre Egli era in vita”. Non mi sento di aggiungere altro.
De Martino, dalla gioventù ribelle, ha fornito insieme ad altri le basi per la sinistra politica di questo Paese. Essendo stato più volte Segretario del Partito Socialista Italiano, di sicuro il suo pensiero avrà lasciato il segno nei suoi compagni. Quali insegnamenti, secondo lei, sono tutt’oggi parte integrante del pensiero di sinistra?
La sua fu una milizia politica disinteressata. Il primo grande insegnamento è stato il senso profondo dell’eticità della politica, non la retorica moralistica, ma la Politica intesa come il perseguimento del bene comune, e in primo luogo del “riscatto” delle classi lavoratrici e dei ceti più umili e deboli della società, ispirandosi ai valori del socialismo, che poneva l’uomo, con i suoi bisogni ed esigenze, al centro delle proprie lotte. Perciò niente personalismi, né tanto meno lotte per il potere come che sia, ma solo idee e programmi e battaglie per realizzare fini che si ritenevano nobili e degni di essere perseguiti. Per questi fini erano necessarie grandi forze organizzate. Anche a ciò dedicò il suo impegno politico, nella ricerca, dimostratasi purtroppo vana, di creare le condizioni per costruire una sinistra unita, per meglio e con più forza, realizzare i propri progetti di rinnovamento e trasformazione della società. Il suo insuccesso è all’origine delle gravi degenerazioni della lotta politica in Italia e delle distorsioni nel suo sistema politico, e soprattutto del fatto che oggi non c’è più una sinistra italiana forte e degna di questo nome.
Nel 1991 De Martino è stato investito della carica di Senatore a vita. Tuttavia è ben noto che fare politica è come praticare l’amore: qualche volta, oltre le gioie, si può anche soffrire e si possono subire delusioni. Se dovesse scegliere quali sono stati i suoi più grandi traguardi e le sue più aspre delusioni come uomo politico?
La sua opera è rimasta incompiuta, come detto sia pure sommariamente. Sconfitta? Forse sì, sul piano strettamente politico, nel senso che si sono affermate altre tendenze e che nel mondo che è cambiato la prioritaria esigenza unitaria delle sinistre che Egli poneva come fondamento della lotta politica in Italia non è più attuale, essendo scomparse, come è noto, le forze politiche, i socialisti e i comunisti, che di essa dovevano essere le protagoniste; ed oggi quindi quel problema si pone in altra luce e dimensione. Ma non è affatto scomparsa, tutt’altro! La necessità di organizzare un grande movimento politico, non solo nel nostro paese, ma in Europa e nel mondo intero che, attualizzando gli ideali del socialismo, possa contribuire a profondi mutamenti nei rapporti sociali, per abbattere le radicali differenze di condizioni di vita di masse sterminate di esseri umani, frutto essenzialmente di intollerabili disuguaglianze generate dall’irrazionalità dei modi di funzionamento del capitalismo globalizzato e finanziarizzato, contro cui, purtroppo nulla, ma proprio nulla, si fa, al di là di sporadiche e spesso nefaste violenze di piazza, che per altro fanno il gioco, come è sempre avvenuto, dell’avversario. Il più grande traguardo, Lei mi chiede? Forse mio padre non sarebbe di quest’avviso, ma direi che esso consiste nel fatto che Egli fu il massimo protagonista negli anni‘60/’70 della più feconda stagione delle riforme in Italia: più di Moro, che per dirlo con una battuta, diceva che i socialisti volevano cinque riforme in un anno, mentre in Italia non se ne poteva fare più di una ogni cinque anni!, e più dello stesso Nenni, che pur essendo stato il massimo fautore dell’alleanza, a fini riformatori, fra i cattolici democratici della DC e i socialisti del PSI, si mostrava alquanto remissivo nei confronti della DC, temendo, invero non senza qualche ragione, svolte di destra ed autoritarie come reazione ai processi di avanzamento delle classi lavoratrici, come la strategia della tensione e dello stragismo mostrò ampiamente in quei terribili anni. Le delusioni? Non aspre, come Lei dice, ma certamente, pur non essendovi rancore, come lasciò scritto nel suo testamento, nei confronti di nessuno del partito, la consapevolezza che il PSI si era fatto promotore di tendenze politiche e anche, per così, di modi di comportamenti politici, rivelatesi nel giro di un breve periodo come esiziali per la sopravvivenza stessa del socialismo italiano.
Dopo anni dalla sua scomparsa, De Martino riceve in data 9 aprile, seppur in piccola misura, una ricompensa per tutto il lavoro portato avanti per la nostra Repubblica. Come pensa che avrebbe reagito se avesse assistito a questa cerimonia in suo onore?
Mio padre era alieno e lontano dalle retoriche celebrative. Rifiutava, quasi d’istinto, le cariche, in particolare quelle che considerava onorifiche, come per esempio per Lui era la Presidenza della Camera dei Deputati, che per due volte, nel ’68 e nel ’76, non volle accettare! E per la stessa nomina a Senatore a vita Egli al Presidente Cossiga che glielo comunicava, disse che non la meritava perché, essendo ormai avanti negli anni, non poteva più dare molto. E Cossiga gli rispose: “Ma Tu hai già dato”. Quando partecipava a commemorazioni di compagni scomparsi Egli, semmai, pur nella commozione del momento, faceva, sia pure in breve, sempre discorsi sul significato politico della milizia e delle idee dello scomparso. E così via. Non partecipò a cerimonie su di Lui… dopo la sua scomparsa. Tuttavia forse non gli sarebbe dispiaciuto, in cuor suo e senza darlo a vedere, che qualcuno, per i suoi studi e/o per le sue scelte politiche, avesse avuto parole di riconoscimento e di valorizzazione.