[highlight]Come ci si dovrebbe comportare nel “mondo”? Cosa si aspetta il “mondo” da noi? È davvero così necessario rifiutare la solitudine?[/highlight]
Il mondo, inteso come quel giudice implacabile che decide quanto dobbiamo pesare, a che età avere un figlio, come sia consono vestirsi, e così via, pretende, con la medesima supponenza, di indicarci quali sono i parametri di socialità al di sotto dei quali dobbiamo essere etichettati come asociali.
A maggior ragione in alcune fasi specifiche, come dopo la fine di un rapporto sentimentale, è quasi sconveniente ammettere che si tragga godimento dallo starsene a casa ad esempio a leggere un libro.
La socialità convenzionale prevede che si esca il sabato, se non addirittura già il venerdì, e che si frequentino posti dove si radunano altri “disperati” intenti a far finta di essere felici supportati di frequente da un aiutino alcoolico.
Il mondo forse non sa quanto è brutto, triste e devastante sentirsi soli tra la gente, inadeguati e fuori luogo in un posto incapace di accoglierci e quanto invece sia lenitivo e rigenerante starsi accucciati in compagnia di se stessi.
Lo stesso mondo non sa poi, quante occasioni ci sono nel quotidiano e quanto arricchente può essere un incontro occasionale o una conversazione anche di soli pochi minuti tra due persone che magari si incontrano in metropolitana o si incrociano in un bar e con naturalezza abbattono la barriera della “non conoscenza” riconoscendo nell’ altro il miglior interlocutore che in quel momento si potesse desiderare.
La vita è fatta di attimi, di incontri e di percorsi che hanno una durata funzionale alla loro finalità.
La capacità di trarre il meglio dalle relazioni non può che nascere da una piena consapevolezza di se, da una condizione di serenità che non ci faccia mal interpretare ciò che noi stessi desideriamo incorrendo invece nell’errore grossolano quanto ricorrente di credere di desiderare quello che gli altri si aspettano da noi.
Nessun grande amore, profonda amicizia, legame parentale è mai stato vittima di un pomeriggio trascorso in solitudine, mentre i danni peggiori nascono dall’aver riempito la propria anima di immondizia emotiva.