[highlight] La riapertura delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti pone vari quesiti sul futuro dell’isola e tante aspettative sulla fine dell’embargo commerciale.[/highlight]
Dopo 54 anni, riprendono le relazioni tra Cuba e Stati Uniti con la riapertura dell’ambasciata americana sul lungomare Malecòn dell’Avana e la bandiera a stelle e strisce made in Usa che riprende a sventolare nel cielo caraibico. Le relazioni tra i due Paesi erano già riprese con l’iniziativa di Obama e il dialogo avviato tra la sua amministrazione e la leadership di Raul Castro. Il vero e proprio disgelo era stato annunciato a dicembre 2014, l’approvazione delle nuove regole di commercio e viaggio nell’isola caraibilica con meno restrizioni e lo storico faccia a faccia di aprile tra i due leader, per arrivare poi all’esclusione di Cuba dalla lista statunitense dei paesi sponsor del terrorismo. Favoriti anche dai buoni uffici svolti da Papa Francesco, i passi verso la riapertura delle ambasciate e il ristabilimento di normali relazioni sono stati brevi, prima la riapertura di quella cubana a Washington il 20 luglio e poi di quella statunitense all’Avana. La cerimonia fortemente simbolica è stata presieduta dal segretario di Stato John Kerry, con i tre marines del 1961, a riconsegnare la bandiera statunitense da loro ammainata cinquantaquattro anni fa.
I due Paesi si dicono ora pronti a riscrivere una nuova storia di relazioni, dopo anni di forte antagonismo.
Il diavolo in salsa cubana
Lo stato cubano sorto dalla rivoluzione del ’59, derivante dal rovesciamento del dittatore cubano Batista, è stato per anni osteggiato, isolato e bandito, attaverso un duro embargo, dagli Stati Uniti, che vedevano lo stato caraibico guidato da Fidel Castro, come la trasposizione del male sovietico ai loro confini. E pensare che un tempo Cuba era la casa dei divertimenti statunitensi, in cui speculazione edilizia e gioco d’azzardo erano la regola e il compiacente dittatore Fulgencio Batista a mantenere la porta aperta allo sfruttamento americano. Poi c’è stata la rivoluzione castrista, con l’assalto alla Caserma Moncada il 26 luglio del 1953 e la definitiva conquista dell’isola all’inizio del 1959 con la deposizione e la fuga di Batista e la presa di Santa Clara e di Santiago de Cuba da parte di Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara. Il nuvo governo istauratosi nel 1959 era di chiara impostazione marxista, con l’obiettivo di costruire una società tendenzialmente egualitaria, ha segnato la rottura con gli Usa. Le politiche di nazionalizzazione di tutti i beni stranieri, i tentativi da parte degli Usa di invadere l’isola (un esempio la famosa e fallita invasione della Baia dei Porci) hanno poi sancito la definitiva rottura dei rapporti tra i due stati, concretizzatisi con il duro embargo commerciale da parte degli Usa e la conseguente chiusura dell’ambasciata nel 1961.
Todos somos americanos
Cinquantaquattro anni dopo, la storia si riscrive e Obama vuole essere il preseidente della riconciliazione. La frase in spagnolo ha annunciato il disgelo tra i due paesi dopo anni di relazioni all’insegna dello scetticismo e dell’aperta ostilità, tra chiusure e tiepide promesse, mai seguite da fatti concreti. Dopo difficili negoziati, la svolta era attesa e quasi inevitabile, visto l’anacronismo delle motivazioni che ne stavano alla base. Se con la rivoluzione e l’amicizia con l’Unione Sovietica, Cuba poteva rappresentare una minaccia per gli Stati Uniti, in quanto laboratorio politico di una forma di governo alternativa a quella capitalistica americana e possibile pedina di minaccia dell’Urss in continente americano. Con la fine del comunismo sovietico, l’isola è stata relegata a un isolamento sempre più forte, soprattutto a causa dell’embargo commerciale. La nuova fase tra i due Paesi sarà segnata innanzitutto dalla riapertura dei rapporti diplomatici tra i due governi. Gli Usa hanno ripreso a incoraggiare i viaggi dei cittadini statunitensi sull’isola e sempre più aziende americane fanno sondaggi su possibili investimenti in iniziative commerciali a Cuba. Le questioni aperte sono comunque ancora tante, Guantanamo, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali del regime castrista e l’embargo che attanaglia l’economia dell’isola. Proprio su questo il segretario di stato Kerry è intervenuto manifestando la volontà di rimuovere queste sanguinose restrizioni, sottolineando la necessità di un’iniziativa da parte di entrambi i Paesi.
[quote]L’embargo è sempre stato qualcosa a due vie, entrambe le parti devono rimuovere le restrizioni che hanno tenuto indietro i cubani. L’amministrazione Obama vuole rimuovere l’embargo seguendo varie tappe, a iniziare da settembre, con vari incontri bilaterali. È necessario comunque, che Cuba, diventi una democrazia autentica. [/quote]
L’ombra di Fidel
Nei giorni dei festeggiamenti dei suoi 89 anni, festeggiati con Evo Morales (presidente della Bolivia) e Antonio Maduro (presidente del Venezuela), Fidel Castro, “Líder máximo” in pensione dorata, ha ricordato agli Usa la storica questione del risarcimento che Cuba chiede agli americani per l’embargo. Infatti, i danni portati all’economia e alla popolazione cubana da anni di embargo, sono quantificati dallo storico dittatore in un indennizzo da svariati milioni di dollari, cifra che secondo Fidel, nemmeno lontanamente sarebbe avvicinabile ai danni a lungo termine causati all’isola. Questione che è condivisa anche dalla leadership del fratello Raul, più aperto agli Usa, che ha riproposto direttamente a Kerry attraverso il ministro degli esteri cubano Rodriguez.
La partita tra Cuba e Stati Uniti è solo all’inizio e si giocherà soprattutto sulla questione dell’embargo e delle aperture che Castro dovrà inevitabilmente fare sul tema delle libertà e dei diritti umani. Sulle aperture agli oppositori e sulle inevitabili ripercussioni che questo avrà sul regime e sulla vita stessa dei cubani, verterà il destino dell’isola e quello di un’intera popolazione. Una volta per tutte bisogna che Cuba affronti la questione delle relazioni con il potente vicino, tenendo ben chiaro però, che a rischio può essere la salvaguardia dell’identità cubana stessa. Dopo anni di dittatura, manca una classe dirigente che possa guidare il cambiamento e salvaguardare quell”insieme di valori e di storia che hanno fatto dei cubani un popolo diverso rispetto a qualsiasi altro Paese del Caribe, quella filosofia di vita grazie alla quale la stessa popolazione è sopravvissuta duranti anni di regime e dittatura.