[highlight]Le elezioni regionali, con i suoi conseguenti risultati, sono alle spalle, con le discussioni e le meditazioni che ne sono scaturite.[/highlight]
Il dato incontestabile emerso è quello dell’altissima astensione che, in maniera più o meno omogenea, ne ha caratterizzato anche l’esito. Il grado di disaffezione che ne è alla base è risultato impressionante, ma anche preoccupante.
Nelle analisi che si leggono, o che si ascoltano attraverso i media, non mi pare che ci sia contezza di questo fenomeno, soprattutto dai responsabili delle varie parti in causa. Evaporato, per certi versi, l’effetto Renzi, rispetto all’impressionante risultato ottenuto dal PD nelle elezioni europee del 2014, ed evidente la crisi, sia pure mitigata dalla vittoria in Liguria, del centro destra, è evidente la difficoltà di recuperare la disaffezione dei cittadini anche da parte del Movimento 5 Stelle e della Lega, malgrado i risultati evidentemente positivi ottenuti nella competizione.
Quello che manca, a mio avviso, è la capacità, da parte dei partiti in campo, di rapportarsi al problema in maniera critica. Nessuno, a parte qualche eccezione, ha fatto un pizzico di autocritica rispetto alla difficoltà incontrata ad intercettare l’indifferenza e la disaffezione di ampia parte dell’elettorato.
Questa mancanza di autocritica offende, per alcuni versi, una parte considerevole di cittadini che non ha votato.
Cittadini che sono sfiduciati in quanto non ricevono risposte rispetto ai problemi della quotidianità. Problemi che, sovente, sfuggono alla comprensione di una classe politica, in buona sostanza, autoreferenziale e con poco contatto con la comunità.
Questo avviene anche e soprattutto per il modo con cui i politici attualmente vengono eletti: liste bloccate e decise dalle segreterie politiche. Ebbene la classe politica questo difetto d’origine lo paga con un distacco evidente dal paese reale, con effetti le cui conseguenze sono sotto gli occhi.
Una politica che, complice la mancanza di partiti organizzati sul territorio, sempre più si guarda l’ombelico invece di raccogliere il grido che si eleva da un elettorato che è alle prese, da diversi anni, con una crisi economica, i cui effetti si ripercuotono sulla vita sociale delle famiglie e delle imprese. Se la politica non riesce a comprendere che deve tornare sul territorio, difficilmente il Paese riuscirà ad uscire da questa spirale perversa nel quale è avviluppato.
E per tornare sul territorio, la politica deve fare un bagno di umiltà, deve ritornare ad essere la leva con cui si offre alla comunità la possibilità di crescere sul piano sociale, economico e politico. Si deve ritornare alla vita delle sezioni o dei circoli che dir si voglia, imparare a confrontarsi, affidarsi alle persone competenti ed oneste, di cui la società italiana è piena, ma soprattutto la politica deve imparare ad ascoltare se vuole capire dove andare e affrontare, seriamente i problemi del Paese, compreso l’elevato astensionismo.