[highlight]Una sfida che può valere un impiego. Non ci sono più scuse.[/highlight]
Forse è proprio questa la migliore sintesi sul rapporto che intercorre oggi tra lavoro e padronanza della lingua inglese. Oggigiorno non si può parlar più infatti di plus, ma di reale e vitale necessità, requisito chiave per essere anche solo preso in considerazione. Basti pensare che per molte realtà l’inglese è un dato di fatto, un punto di partenza a cui spesso si chiede di affiancare altre lingue come ad esempio russo e cinese.
Una questione ad esclusivo appannaggio di multinazionali e grandi brand? Affatto. Una società ed una economia sempre più globali hanno portato l’inglese in ogni meandro del mondo del lavoro, toccando realtà spesso molto contenute.
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Potere della globalizzazione e del web che, volenti e nolenti, propongono mercati che non conoscono (o quasi) più confini. Persino la piccola startup italiana si trova oggi a poter vendere prodotti e servizi in tutto il mondo, esponendo le sue risorse all’obbligo del multilingua, inglese in primis.
Ma non finisce qui. Sono ormai molte, se non tutte, le multinazionali che prevedono training e momenti di formazione esclusivamente in lingua inglese, segno concreto dei tempi che cambiano. Sulla stessa lunghezza d’onda le università che ormai da anni hanno approntato master e corsi di specializzazione only in english. Un modo per avvicinare gli studenti alla realtà del mondo del lavoro ed attirare iscrizione ai corsi anche dall’estero. Esempi di questa politica sono due tra gli atenei più prestigiosi del panorama italiano, la Bocconi e il Politecnico di Milano.
Al di là di quella universitaria, la formazione legata al business è uno dei campi dove la conoscenza dell’inglese risulta fondamentale. Conferenze, saggi, articoli di settore, blog: la quasi totalità delle fonti informative lo privilegia oggi, che si parli di tecnologia, scienze o medicina. Attendere le versioni tradotte a volte può significare aspettare tempi relativamente lunghi e vedere la concorrenza (gli altri candidati in cerca di occupazione) passarci davanti.
L’inglese e la sua conoscenza tornano tema caldo se si considera poi il crescente ed indispensabile rapporto lavoro-digitale. Il web e la miriade di applicazioni e software che lo popolano sono nella quasi totalità in lingua inglese, costringendo l’utente a conoscerla bene se vuole utilizzarle al meglio. Come dici… preferisci attendere la versione in italiano?!? Come no… Aspetta e, soprattutto, spera.
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Aspetti compresi in tutta Europa e nel mondo, ma non così chiaramente in Italia: secondo una ricerca di EF Education First del 2013 realizzata su 60 Paesi del Mondo, gli italiani registrano un certo non rassicurante 32esimo posto in classifica. Peggio di noi, in Europa, solo i Francesi (35° posto). Un trend certo che non può lasciare tranquilli e che necessita un cambio di rotta repentino, in primis negli stessi italiani, troppo spesso poco inclini a cimentarsi in una lingua che non sia quella di Dante.
“In bocca al lupo” se pensi di riuscire a sopravvivere ed a vincere il sistema. La maggioranza delle aziende prevede oggi il colloquio in entrambe le lingue, pretendendo come requisito fondamentale la capacità di parlare. Armiamoci quindi di buona volontà e cominciamo con i classici “the book is on the table”… Ah, per il resto good luck!