[highlight]Dopo trent’anni di carriera in cui ha mostrato infinite versioni diverse di se stessa, Madonna torna con il suo nuovo lavoro, “Rebel Heart”, il 13mo disco della sua carriera. [/highlight]
È uscito il nuovo lavoro discografico di Madonna, Rebel Heart, e ogni suo ritorno la porta a confrontarsi con un carico di aspettative maggiore rispetto a quello di qualsiasi altro artista.
Il suo essere incontentabile ha reso incontentabile anche il pubblico. In più di trent’anni di carriera all’insegna del trasformismo, Madonna ha infatti guadagnato uno stuolo di ammiratori così vasto e variegato (per generazione, gusti e background), al punto che ognuno è arrivato a sviluppare un’idea ben precisa sulla veste sonora che meglio le si calzerebbe, rimanendo deluso ogniqualvolta questa veniva disattesa.
C’è chi la vorrebbe sempre regina delle piste da ballo, chi la vedrebbe più adatta nelle vesti di forbita cantautrice, chi la preferirebbe più sperimentatrice, e chi si accontenterebbe di un più semplice intrattenimento pop.
Una popstar sempre controcorrente
E invece la Ciccone, sempre sintonizzata sulle frequenze di maggior tendenza (condicio sine qua non sarebbe del tutto inutile giocare nel campo del mainstream che l’ha sempre vista protagonista, seppur ormai fisiologicamente affannata), continua a fare le sue scelte stilistiche incurante delle aspettative, consapevole di non poter accontentare tutti e che azzeccare il desiderio di molti equivale a scontentare quello di altrettanti.
Il singolo di lancio, Living For Love, è un manifesto: l’amore fa male, ma non si può che vivere per l’amore. Diplo produce una potentissima fusione tra house anni ’90 e ritmi contemporanei. Infinitamente meno immediata degli ultimi singoli di lancio degli scorsi CD, la canzone si fa apprezzare sempre di più a ogni ascolto, ed è forse la più iconica della raccolta.
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=u9h7Teiyvc8]
Con Devil Pray, Madonna riprende il discorso legato alla spiritualità che tanto la appassiona, e lo porta a un nuovo livello: l’alterazione delle percezioni come nuovo stato dell’animo umano. Il ritmo è ipnotico e l’interpretazione stellare.
Ghosttown è una bellissima electro-ballad che racconta di un mondo post-apocalittico in cui tutto ciò che è rimasto è l’amore. E’ forse quella in cui la voce di Madge è più convincente e toccante rispetto alle altre, lasciando in chi ascolta una grande attesa nel vedere come verrà performata live.
Critiche contrastanti
Diversificate e contrastanti anche le critiche sull’album di illustri riviste:
[quote]L’album è alla più piena potenza. Madonna spinge tutti al lato e ce lo dice in maniera chiara (Rolling Stone)[/quote]
[quote]Rebel Heart è così lungo perché è essenzialmente composto da due album separati. Uno è malinconico e denso di riflessioni su storie d’amore fallite e presagi di insicurezza …. L’altro offre linguaggio sfacciato e sfide, con produzioni di ispirazione EDM, spesso ad opera di Diplo. Non c’è ovviamente alcun motivo per cui un album non possa contenerli entrambi. Ma su Rebel Heart, i due non si uniscono abbastanza forte.(The Guardian)[/quote]
[quote]Ci sono momenti in cui speri in un divertimento maggiore e ci sono almeno uno alcune ballad troppo lunatiche. Ma poi una linea di basso e alcuni elementi del sound ti trascinano a Madonnaland, dove l’introspezione e l’abbandono si impegnano in atti erotici di auto-realizzazione.(Billboard)[/quote]
Contaminazione
Sono lontani i tempi della Madonna pudica alternata a un’immagine decisamente meno religiosa di Like A Virgin o quelli di Vogue dove la cantante esprimeva il suo lato più glam, iniziando oltretutto a muovere i primi passi da attrice al fianco di un certo Warren Beatty.
Per sua fortuna, la dance degli ultimi anni è in linea con sonorità a lei molto familiari: la deep house è in fondo un adattamento contemporaneo di ciò che produceva negli ’80 (l’ottima Living for love per lei è tutt’altro che revival: lei c’era) e l’EDM con inserti country/folk (come Devil pray) ricorda alcune delle idee che aveva già sposato in modo brillante all’epoca di Music e American life.
Non è una Madonna meno irrequieta di quella che si avventurava tragicamente nell’R&B con Hard candy o nei suoni di Benassi e Solveig con MDNA: è una Madonna che, dopo due dischi da dimenticare, si trova nel momento storico giusto per fare dance tanto alla moda quanto azzeccata per lei.
Ma la collaborazione con Diplo e Kanye West la porta anche in territori del tutto inesplorati: il pop accelerato, giocoso e sintetico della label emergente PC Music in Bitch I’m Madonna, la trap in Illuminati e Iconic, la dancehall futuristica di Unapologetic bitch.
Sono tutti esperimenti riusciti dai quali Madonna esce vittoriosa e (bisogna ammetterlo, ché ci tiene) ringiovanita, ma sono spesso abbinati a testi scadenti.
Un album riuscito a metà
In realtà i problemi di Rebel Heart sono essenzialmente due:
Il primo è quello di essere un lavoro senza un trait d’union ben percepibile (sebbene i concept dell’album potrebbero essere considerati l’amore, la ribellione, il coraggio e la sensualità, temi che, in qualche modo, hanno sempre caratterizzato i lavori e la “poetica” di Madonna), o meglio, un album che partiva, almeno su carta, da ottime premesse, poi ostacolate dalla loro (quasi) impossibile attuazione pratica.
È molto difficile, infatti, riuscire a realizzare un’opera che sia contemporaneamente una celebrazione di trent’anni di onorata carriera, un lavoro per soddisfare i bisogni delle nuove generazioni e un contentino per le generazioni che Madonna effettivamente rappresenta e che la seguono da trent’anni, abituate a toni e sonorità più “classiche”.
Il secondo problema sta nei temi affrontati: da una parte, la sua fissazione con sacro e profano, che tocca i punti più bassi in S.E.X., Holy water (“Jesus loves my pussy best”!) e Body shop (in cui esaurisce ogni possibile metafora su corpo/carrozzeria e amante/meccanico); dall’altra, il desiderio di ricordarci il suo status di icona, come nella già citata Iconic (con un cameo, a quanto pare ispirato da Mussolini, di Mike Tyson) e Veni vidi vici (in cui elenca tutte le sue hit).
Per questo, Rebel Heart è un lavoro a tratti eccessivo e disarmonico, con alcuni pezzi obiettivamente buoni offuscati da altri tremendamente mediocri e anonimi che, lo ripetiamo, avrebbero potuto essere facilmente scartati in funzione di una versione dell’album più ridotta, ma più incisiva ed armonica
Se Rebel Heart non è l’album pop dell’anno, è comunque il ritorno di una vera icona, che, per quanto prossima ai 60 anni, riesce ancora a ruggire sul palcoscenico e a far parlare di sé ogni volta, senza se e senza ma.
Speriamo solo che il tour promozionale non ci contraddica e che un certo Mick Jagger riferendosi a lei “un bicchiere di talento in un mare di ambizione” non abbia ragione.