[highlight]La frase politicamente scorretta di Sean Penn pone l’attenzione sull’immigrazione Usa. Ma come funziona?[/highlight]
Sean Penn esordisce dicendo: «Chi ha dato la Green Card a questo figlio di p…?» mentre consegna l’Oscar per il miglior film al regista messicano Alejandro Gonzalez Inarritu per “Birdman”.
Come altamente prevedibile, si scatena immediatamente la tempesta di indignazione volta a tacciare l’attore e regista statunitense di xenofobo, in quanto autore di un’offesa politicamente scorretta nei confronti degli immigrati. Presumibile anche la risposta di Sean Penn che, impegnato nella presentazione del suo nuovo film “The Gutman” a Beverly Hill, non ci pensa due volte a sottolineare l’infondatezza dell’accusa mossagli per, in realtà, una battuta ironicamente rivolta a quello che, prima di essere un immigrato, è semplicemente un suo amico.
Il punto è proprio questo: talvolta, l’atteggiamento sociale di estrema attenzione al rispetto generale, soprattutto nell’evitare l’offesa verso determinate categorie di persone, ciò che insomma va sotto il nome di politicamente corretto, rischia di accentuare implicitamente l’alterità, in quanto diversità, di quella stessa categoria di persone. È come se si trattasse di uno stare attenti al non offendere, il che contiene già in sé una discriminazione, un evidenziare la posizione dell’altro come diverso; al contrario, saremmo forse tutti più uguali se di certe cose, soprattutto se in una dimensione confidenziale, si potesse scherzare esplicitamente, abbattendo realmente barriere e tabù.
Più che altro, la precisazione da segnalare a Sean Penn sarebbe quella di non chiedersi chi abbia consegnato la Green Card al regista messicano, ma di chiedere a quest’ultimo quanto si sia sentito fortunato nel riceverla. In tanti vi sarete, infatti, concentrati su che cosa sia l’oggetto dell’offesa, tirato in ballo da Sean Penn, più che sull’offesa stessa. Ecco, di seguito, la risposta alla domanda che cosa sia la Green Card. Se state pensando di coronare il sogno di andare a vivere negli Stati Uniti dovrete prestare molta attenzione alla lettura.
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La Permanent Resident Card
Quella che è comunemente chiamata Green Card, perché stampata fino al 1979 su carta verde, è in realtà la Permanent Resident Card, ovvero il documento che consente di lavorare negli Usa senza limiti di tempo, di regolarizzare la situazione abitativa o di rientrare negli Usa dopo un periodo di residenza all’estero. In pratica, se vuoi emigrare negli Stati Uniti d’America devi essere in possesso di questo tesserino che riporta il nome del proprietario, la sua fototessera e altri dati personali aggiornati con regolarità. La Green Card può essere richiesta anche se non si è residenti negli Stati Uniti, mentre la cittadinanza americana può essere ottenuta solo dopo cinque anni di residenza e di possesso della Green Card; gli anni si riducono a tre se si è sposati con un cittadino americano.
La lotteria Green Card
Il vero problema è cercare di ottenere la Green Card. In realtà, chi ne ha bisogno non deve fare quasi nulla se non sperare di essere baciato dalla Dea Fortuna, dato che, il titolo non inganna, a chi volesse provare sembrerà davvero di concorrere per la vincita alla lotteria. Procediamo per gradi.
Le uniche corsie preferenziali per l’ottenimento della Green Card sono per coloro che la fanno richiedere da un proprio familiare cittadino americano o dal proprio datore di lavoro americano, il quale funge da sponsor. Per tutti gli altri, e come vedremo sono davvero in tanti, l’unica chance è essere sorteggiati a caso dall’Uscis (United States Citizenship and Immigration Services), partecipando a una lotteria particolare che porta il nome di “Diversity Visa Program” e che, in realtà, è tutto tranne che un gioco, nonostante le modalità di adesione.
Il governo americano mette ogni anno a disposizione (o in palio) 50.000 Green Card per quasi tutti i Paesi del mondo, per un periodo di tempo limitato che va generalmente dai primi di ottobre ai primi di novembre. La quantità di permessi rilasciati sembra consistente, ma si ridimensiona di molto nel momento in cui si considera che ogni anno vengono inserite in lista d’attesa 12 milioni di persone in media.
Questo non è, tuttavia, l’unico modo che il governo Usa utilizza per accogliere e regolamentare l’afflusso di stranieri. Ogni anno, infatti, gli Stati Uniti rilasciano sia 370.000 visti a parenti prossimi di cittadini americani e a lavoratori e ricercatori stranieri altamente qualificati, sia 80.000 visti a profughi di tutto il mondo, grazie alla collaborazione dell’istituzione UNHCR, l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Negli Stati Uniti, quindi, si registrano annualmente 450.000 nuovi stranieri.
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Come concorrere
Partecipare alla lotteria Green Card è assolutamente gratuito. I primi passaggi avvengono online; basta inviare la domanda all’unico sito del governo americano autorizzato, che si distingue per il dominio .gov., dopo la compilazione del modulo in inglese Elettronic Diversity Visa Entry Form, fornito dal sito stesso. Non bisogna lasciarsi ingannare dalla massiccia presenza in rete di siti-truffa che attirano l’esca scrivendo frasi del tipo “sei stato sorteggiato”. Si tratta di nient’altro che di pubblicità di studi professionali privati americani, con stemmi simili a quelli del governo Usa, che offrono falsi servizi a pagamento.
Per quanto riguarda i requisiti necessari, il Diversity Visa Program non ne richiede di particolarmente severi. È possibile inviare la domanda se si è nati in uno dei Paesi rientranti nella lista di quelli ammessi. Inoltre, bisogna aver completato un ciclo di studi di almeno 12 anni, oppure aver svolto, negli ultimi cinque anni, un impiego comprensivo di almeno due anni di tirocinio o praticantato.
Inizia, poi, la fase del sorteggio. Le prime operazioni vengono affidate esclusivamente a un computer che scarta immediatamente le domande contenenti errori, come ad esempio l’inserimento di foto non rispettanti i canoni richiesti. Soltanto approssimativamente nel mese di Maggio verrà comunicata l’estrazione ai vincitori finali del superenalotto.
Non si tratta, però, che del raggiungimento della seconda tappa. La terza consiste nella sperata ricezione della lettera di convocazione nel luogo, specifico per ogni Paese, preposto allo svolgimento di un colloquio e di visite mediche. La legge americana prevede, infatti, che ogni sorteggiato debba sottoporsi a esami medici svolti da sanitari, con certificato del Dipartimento della Salute Pubblica degli Stati Uniti. In Italia, ad esempio, le sedi che accolgono i fortunati sono il Consolato degli Stati Uniti di Napoli, per quanto riguarda il colloquio, e l’Istituto Diagnostico Varelli, ambulatorio convenzionato con il Consolato, per quanto riguarda le visite mediche.
Nei giorni successivi la convocazione si riceve finalmente l’avviso che accerta di essere diventato, a tutti gli effetti, un immigrato statunitense in possesso della Green Card.
Bisogna tener presente, però, che un cittadino statunitense tale per nascita detiene più diritti e doveri di un “residente permanente”, che, in genere, non ha diritto di voto e di accedere a determinate cariche istituzionali. Tuttavia, i residenti permanenti pagano le tasse come gli altri cittadini.
Chi richiede la Green Card
È facile immaginare che il sogno di cambiare vita, approdando sulle coste del continente simbolo di libertà e ricchezza, accomuni maggiormente coloro provenienti dai Paesi sottosviluppati. Le statistiche confermano questa ipotesi. Nel 2013, ad esempio, la maggior parte delle domande sono giunte dalla Nigeria, dove sono stati inviati circa un milione e mezzo di moduli, seguita dal Ghana, l’Ucraina, l’Etiopia, l’Egitto e la Sierra Leone, il Paese più povero al mondo. Se la quantità di domande presentate è davvero direttamente proporzionale alle difficoltà di un Paese, l’Italia deve preoccuparsi: dal 2010 a oggi, il numero di richieste è aumentato, nel nostro Paese, di circa 3.000 domande l’anno.
La regolamentazione dei flussi di immigrazione adottata dagli Stati Uniti rappresenta il tentativo di mantenere una sorta di equilibrio etnico della popolazione, come dimostra la clausola prevista dal Diversity Visa Program che vieta alle nazioni, che nei cinque anni precedenti hanno superato il numero di 50.000 ingressi negli Usa, di partecipare alla gara per le Green Card. Rispetto alla totale liberalizzazione e, anzi, all’incoraggiamento dei flussi migratori, promosso dagli Usa durante l’era pionieristica, questa rappresenta una via di mezzo che si discosta anche dalle eccessive limitazioni adottate dal 1875 e che prevedevano l’esclusione di analfabeti, infermi, dementi, prostitute, anarchici e comunisti. E poi scandalizza la battuta di Sean Penn.
Sicuramente, disciplinare l’ingresso a partire dalle etnie e in base a calcoli imparziali per i singoli Paesi e non in base all’appartenenza sociale è già un mezzo meno discriminatorio, un passo avanti nel non considerare gli altri dividendoli in certe “categorie di persone” . In questo senso, la lotteria Green Card appare, quanto meno, come una tipologia di regolamentazione politicamente corretta, se di politicamente corretto bisogna parlare.