[highlight]Il colosso di Cupertino sta davvero pensando di entrare nel business della musica e dell’audiovisivo dalla porta principale?[/highlight]
Lo so cosa state pensando, di Apple Records ce n’è una sola ed è sacra, e fu fondata dai “Bigger Than Jesus”, gli scarafaggi che hanno cambiato per sempre la storia della musica.
Non vi agitate, si tratta solo di un caso di omonimia, qui parliamo della mela morsicata più famosa al mondo, la stessa che ha rivoluzionato la tecnologia e, diciamo la verità, la nostra vita negli ultimi 40 anni. Esatto, quella Apple, quella del Think Different, del Mac, dell’iPhone e dell’iPad, che pochi giorni fa ha smentito di essere sul punto di acquisire la casa discografica Big Machine, l’etichetta che produce la pop star del momento, Taylor Swift.
Si sa, quando si tratta di aziende del calibro della Apple una smentita non è mai veramente una smentita, ma un modo per far trapelare un rumor e innescare la discussione intorno a un argomento, e monitorare, così, le opinioni di azionisti e consumatori.
Facciamo un passo indietro, e cerchiamo di capire perché l’ingresso della Apple nell’industria discografica e dell’entertainment non appare poi così improbabile.
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Una scommessa già vinta?
Alla fine degli anni ’90 gli utenti Apple utilizzavano SoundJam MP, un’applicazione molto diffusa nei sistemi Macintosh, nata per organizzare e gestire la musica in formato MP3; a partire dall’architettura di questo programma nel 2000 un team di sviluppatori realizzò iTunes, il player musicale che in poco tempo si sarebbe diffuso moltissimo nei Mac, grazie anche alla gratuità del software.
Nel 2003 viene rilasciata la versione anche per Windows, e diventa in poco tempo il secondo player musicale al mondo, ma la svolta si registra il 28 aprile dello stesso anno, quando nasce l’iTunes Store (oggi iTunes Music Store). Da quel giorno il mercato discografico non è stato più lo stesso. La possibilità di acquistare i singoli brani a prezzi bassi, in media 0,99 centesimi, e di ascoltarli in anteprima ridotta colpì al cuore il settore, purtroppo mandando in pensione i vecchi negozi di dischi che, ammettiamolo, avevano un certo fascino.
La vera forza dell’iTunes Store, però, consiste in tre elementi:
- 1) La diffusione enorme di iPod in tutto il mondo;
- 2) Gli accordi siglati con tutte le più grandi etichette discografiche – BMG Music, EMI, Sony Music, Universal e Warner Bros – e centinaia di case indipendenti;
- 3) Un catalogo immenso di brani, audiolibri, film e serie tv.
Con iTunes Store la Apple ha, di fatto, creato il mercato digitale della musica, cambiando per sempre il modo in cui viene prodotto e distribuito oggi un brano o un album.
Insomma, se da piattaforma di vendita di audiovisivi si trasformasse in produttore la cosa risulterebbe così strana? No, per niente.
Inoltre, non dobbiamo dimenticare che già da qualche anno Apple organizza concerti con grandi cantanti e gruppi musicali internazionali, come l’iTunes Festival, e che pochi mesi fa ha siglato un accordo con gli U2 per distribuire l’album “Songs of Innocence” a tutti gli utenti iscritti, quindi in parte è già operativa nel settore.
Apple come Netflix e Amazon
Certo, la Apple è famosa per puntare sull’innovazione tecnologica, quindi investire in un settore pieno di concorrenti e in evidente crisi non è proprio una scelta smart, ma solo se si guarda al mercato discografico in maniera convenzionale.
Si, perché oggi il futuro dell’audiovisivo è rappresentato dall’on demand e dallo streaming, basti pensare al successo di Spotify, Deezer, SoundCloud, per quanto riguarda la musica, ma allargando lo spettro d’azione al mondo dell’intrattenimento a 360° non si possono non menzionare colossi come Netflix e Amazon, che hanno deciso di puntare sulla produzione di serie tv originali, ottenendo un successo mondiale: House of Cards, Orange is the new black e Transparent sono solo la punta dell’iceberg di un trend che esploderà nel corso del 2015.
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Immaginate lo scenario: iTunes + Apple Tv + iPod + iPhone + iPad + Mac + Windows, un universo di dispositivi connessi a una piattaforma piena zeppa di titoli.
Se la Apple volesse inserirsi in questo discorso avrebbe dalla sua la forza di 800 milioni di carte di credito registrate, la diffusione in 19 lingue e 150 Paesi, senza dimenticare il quasi miliardo di dispositivi mobile targati mela; numeri da capogiro, che potrebbero spazzare via in un attimo la concorrenza, soprattutto quella delle piattaforme di streaming musicali come Spotify, che conta “solo” 15 milioni di abbonati in “appena” 60 Paesi.