[highlight]La band napoletana apre il tour del nuovo album, tra lacune organizzative ed emozioni reali[/highlight]
Li avevamo ascoltati alla Feltrinelli di Napoli in occasione della partenza dell’ In – Store tour, e ci avevano favorevolmente colpiti e stupiti al punto da farci segnare in agenda la data del 24 ottobre, giorno in cui si sarebbe tenuta la loro prima esibizione live.
Venerdì 24 ottobre, prima del live alla Casa della Musica di Napoli, i ragazzi hanno acconsentito a incontrarci poco prima delle 22:00 per una breve chiacchierata.
Per rompere il ghiaccio, gli chiediamo di raccontarci a chi è venuta in mente l’idea del post su Facebook con il quale anticipava la “scaletta” del concerto.
L’idea è stata del chitarrista Enrico Pizzulli, ma tutto il gruppo ha supportato l’iniziativa, perché è importante sdrammatizzare e stemprare un po’ la tensione prima di un debutto importante.
Ragazzi, quando avete presentato l’album avete rivendicato la scelta di produrlo in forma indipendente. Oggi, ad un mese dalla presentazione, difendete ancora questa scelta?
Davide – Si certo. Senza ombra di dubbio. Svincolarsi dalle major ci ha permesso si sentirci liberi e di conseguenza di esprimerci senza essere vincolati a canoni o a parametri dettati da altri. Questo ci ha motivato anche a sperimentare e a metterci in gioco più di quanto siamo già abituati a fare.
Vi presentate anche nel look come un gruppo vicino al mondo rock, ma non nascondete di dare molta importanza al testo e di riservare una cura particolare ai messaggi che le vostre canzoni veicolano. Come vi definite o, meglio, dove vi posizionate nel panorama musicale?
Davide – Ultimamente nel mondo della musica appena un interprete o un gruppo ha successo immediatamente ne nascono numerosi cloni, e questo nuoce a tutti. Distinguersi è necessario oltre che stimolante e il nostro mettere insieme più suoni, più espressioni musicali e testi che hanno un contenuto di spessore si sta rivelando la nostra arma migliore, la nostra carta vincente, anche se sappiamo che questo è solo l’inizio e dovremo continuare a lavorare duro se vogliamo pensare di consolidare la nostra presenza nel mondo della musica.
Chiudiamo con un’ultima domanda: ma alla fine vi siete messi d’accordo sul perché vi chiamate Le Strisce? In precedenza avete dato una risposta piuttosto confusa.
Questa domanda tira in ballo tutto il gruppo ,che racconta di un viaggio in Olanda e della necessità di cambiare il precedente nome, Goya, in favore di uno italiano che fosse efficace ed allo stesso tempo non avesse un significato univoco. Le Strisce si presta a diverse interpretazioni ed è goliardicamente equivocabile.
Li ringraziamo e li lasciamo, in attesa di sentirli suonare.
La bella atmosfera dell’intervista e del pre-concerto, purtroppo, viene spazzata via in un attimo, a causa di un ritardo, rispetto all’orario d’inizio stabilito, di circa un’ora, non giustificato da alcun contrattempo tecnico o disagio dell’ultimo minuto. A peggiore le cose un’acustica decisamente pessima, che non rende giustizia ai giovani interpreti; in diversi punti della sala l’audio arriva distorto, e si fa fatica a capire i testi delle canzoni.
Meno male che a regalarci un momento da ricordare ci pensa Davide che, visibilmente emozionato, ha avuto qualche esitazione sulle parole; un errore che si è trasformato, però, in un punto di forza, perché sottolinea il fatto che Le Strisce è una band composta da ragazzi semplici che non si sono (ancora) montati la testa, e che vivono il palco con passione e paura.
Una band del genere merita un palcoscenico decisamente più adeguato alla qualità della musica che esprimono, e non una struttura con problemi organizzativi così evidenti. Disagi sottolineati anche dai ragazzi sulla pagina Facebook.