[highlight]All’Istituto Cervantes di Napoli lo scrittore spagnolo ha parlato della relazione che si instaura tra autore e traduttore[/highlight]
In un appuntamento con la letteratura di un altro Paese è d’obbligo chiarire il ruolo dello scrittore straniero e quello del traduttore per una migliore comprensione del primo; d’altronde, la maggior parte dei lettori, che si apprestano alla consultazione di un libro straniero tradotto nella nostra lingua, raramente si sofferma sulle difficoltà della traduzione e, eventualmente, sulla possibile distorsione del testo originale. L’autunno letterario partenopeo si apre all’insegna di questo tema, fulcro del dialogo che lo scrittore spagnolo Julio Llamazares ha intrattenuto, ieri 8 ottobre all’Istituto Cervantes di Napoli, con la direttrice dell’ente partenopeo di lingua e cultura spagnola, Luisa Castro. L’incontro culturale, a ingresso libero e al quale erano presenti giornalisti, scrittori, poeti, docenti e studenti, è stato soltanto il primo di un ciclo di appuntamenti con la letteratura spagnola contemporanea, che si terranno nelle prossime settimane e in cui è prevista la partecipazione di altri scrittori spagnoli tra i quali Ricardo Menéndez Salmòn.
L’incontro
Introduce la conversazione Luisa Castro, spiegando che l’esigenza di riflettere sulla peculiare relazione che si instaura tra un autore e il suo traduttore nasce, in un poeta e romanziere come Julio Llamazares, dall’intento dello scrittore di essere certo della fruizione esatta del suo messaggio, in questo caso, presso i lettori italiani. Llamazares manifesta, infatti, nei suoi famosi romanzi, un’attenzione scrupolosa per la lingua, una cura particolare per l’uso più appropriato di ogni parola, ciascuna evocativa di una determinata emozione. L’intervento dell’autore spagnolo mira proprio a sottolineare l’eccezionalità della dimensione artistica dello scrittore, diversa da qualsiasi altra forma d’arte, in quanto «l’atto di scrivere è un atto solitario» spiega «lo scrittore è paragonabile ad un naufrago su un’isola deserta che ripone un messaggio in una bottiglia (il libro) destinato soltanto dopo alla lettura altrui». Traspare in lui un sentimentalismo intriso di passione per la scrittura fine a sé stessa, passione intesa come presupposto necessario «per fare di uno scrittore un vero scrittore, che non punta solamente alla pubblicazione dei propri lavori, che scrive anche se non pubblica e il cui valore non si misura in base al numero di libri venduti».
In questo tipo di approccio col suo mestiere, che più che tale è parte integrante della vita stessa, si colloca la sua preoccupazione per la traduzione. Se solo un traduttore ha il potere, infatti, di sprigionare tutta la bellezza racchiusa in un testo letterario straniero, è pur vero che lo stesso ha una gravosa responsabilità nei confronti dell’autore, per il quale il passaggio in un’altra lingua resta comunque un momento spinoso. Sicuramente si stabilisce un vincolo di mutua dipendenza tra i due, in quanto il traduttore senza lo scrittore non esiste e lo scrittore senza il traduttore esiste soltanto nei ristretti confini della sua lingua. Inoltre, la letteratura non è un’arte universale come la pittura, o meglio può diventarlo solo grazie alla traduzione. Questo non impedisce, però, a Llamazzares di confessare, con il suo fare ironico e divertente: «metto i miei testi nelle mani del traduttore con la stessa paura con cui metterei il mio corpo, in caso di bisogno, nelle mani di un chirurgo, perché il chirurgo taglia la carne del corpo, ma il traduttore taglia la carne dell’anima». Un atteggiamento timoroso e diffidente, del tutto comprensibile, da cui deriva la convinzione secondo la quale il compito primario di un traduttore è il non potersi limitare ad una mera traduzione tecnica, il cercare di non privare il testo di musica, ritmo e poesia originari. Il traduttore deve appropriarsi della personalità dell’autore, è costretto a compiere una sorta di viaggio nell’interiorità dello scrittore alla ricerca degli echi più spenti della sua voce, in un lavoro che non a caso viene accostato alla psicoanalisi. Per far questo egli deve ricostruire l’ambito letterario dello scrittore, conoscerne il contesto storico soprattutto per la salvaguardia di localismi (passibili di eliminazione o sostituzione con altri appartenenti alla lingua di arrivo), metafore o vocaboli fuori dall’uso comune, elementi questi più soggetti ad interpretazioni errate o filtrate.
Llamazares riporta l’esempio di un suo romanzo di successo, “La lluvia amarilla”, scritto nel 1988 e pubblicato in Italia nel 1993, col titolo “La pioggia gialla”, dalla casa editrice Einaudi. Nel libro l’autore affronta un tema mai trattato in precedenza in Spagna, quello della sparizione del mondo rurale a causa dell’emigrazione nelle aree industrializzate, e lo fa attraverso la storia di Andrés de Casas Sosas, l’ultimo abitante di villaggio pirenaico abbandonato realmente nel 1970 e sommerso, in seguito, da un lago artificiale. A parte il fatto che, come sottolinea l’autore, “La pioggia gialla” può essere interpretato come «un ammonimento a chi, governi e cittadini, chiude gli occhi sullo spopolamento delle montagne europee e sulla progressiva fine di una cultura», la storia del protagonista diventa la poetica autobiografia di Llamazares stesso, nato in un villaggio del Leòn e testimone della morte del suo paese dove «il tempo, la memoria, la pioggia gialla delle foglie d’autunno e il biancore della neve si mescolano alle vite degli abitanti scomparsi». La difficoltà del traduttore consiste, in tal caso, nell’obbligo di restituire ai lettori di altre lingue la stessa nostalgica disperazione che l’autore comunica in ogni passo del testo.
Un approccio simile è necessario rispetto a “A metà di nessuna parte”, pubblicato in Italia nel 2008 da Passigli. Il libro contiene sette straordinari racconti al limite del surreale, ma allo stesso tempo calati in una realtà quotidiana comune a tutti, nei quali fanno da protagonisti personaggi non inventati, ma amici o conoscenti dell’autore, che realmente hanno vissuto alla scoperta del loro destino e spesso in lotta con lo stesso.
La profonda conoscenza dell’uomo e l’atteggiamento quasi da antropologo assunto da Llamazares si riscontra, infine, anche nel suo ultimo romanzo, che è già un successo letterario in Spagna, “Las lagrimas de San Lorenzo”. L’autore conclude l’incontro augurandosi che gli italiani, e in particolare i napoletani potranno accedere a una versione pura e completa in tutte le sue parti di un libro del quale un intero capitolo è ambientato a Napoli. In questa «meravigliosa città» il protagonista di mezza età ricorda malinconicamente tempi passati, e nell’intreccio tra memoria e presente scioglie i nodi del proprio passato, scopre segreti della propria vita.