[highlight]A distanza di pochi giorni dalla entrata in vigore del cosiddetto equo compenso sulla copia privata destinata anche a smartphone e tablet, la SIAE continua a puntare il dito contro l’azienda di Cupertino[/highlight]
L’equo compenso per smartphone e tablet è diventato ormai da qualche giorno realtà, ma restano ancora dubbi su chi effettivamente debba gravare la nuova “tassa”. Se la maggior parte delle aziende produttrici di dispositivi portatili sembra aver accettato passivamente l’idea di doversi accollare una nuova spesa a favore dei propri consumatori, Apple (come sempre in controtendenza) ha optato per un rincaro dei suoi dispositivi di punta come iPhone e iPad.
Apple discrimina i consumatori italiani
Non utilizza mezzi termini la SIAE che lo scorso 23 luglio ha diramato un comunicato stampa con il quale “prende atto con rammarico dell’incremento dei prezzi” sottolineando il fatto che l’azienda di Cupertino già propone il suo iPhone in Italia al prezzo più alto del Vecchio Continente. Ma non è tutto. E’ attraverso la stessa nota che la Società Italiana degli Autori ed Editori ha “minacciato” Apple di vendere il melafonino nel Bel Paese allo stesso prezzo francese (917 € per l’iPhone 5s 64 GB rispetto ai 954,25 € italiani) al fine di “dimostrare la scorrettezza del colosso americano”.
Sulla scia di quanto accaduto nei giorni scorsi, il 30 Luglio la SIAE ha tenuto una conferenza stampa “contro le politiche applicate da Apple” presso il Museo Teatrale del Burcardo di Roma con numerosi esponenti delle “arti” italiane, come Paolo Virzì, Antonio Ricci, Franco Micalizzi, Federico Monti Arduini e Francesco Bruni. E’ stato, però, Gaetano Blandini, direttore generale della SIAE, a dare in maniera piuttosto teatrale il primo morso (letteralmente) alla Mela di Cupertino, sostenendo che il costo relativo all’utilizzo della copia privata (alla base dell’equo compenso) non dovesse gravare sui consumatori.
La conferenza è poi proseguita con interventi di alcuni esponenti di Federconsumatori, nella veste di “nemici” di Apple, che hanno ricordato le precedenti vittorie contro il colosso fondato da Steve Jobs per il riconoscimento dei due anni di garanzia (vicenda tutt’altro che chiarita in realtà nonostante le pronunce a riguardo), per poi concludersi con la simbolica e provocatoria donazione da parte del presidente della SIAE, Gino Paoli, di ben 22 iPhone 5s acquistati a Nizza agli studenti più meritevoli dell’Accademia d’arte drammatica di Sanata Cecilia.
Apple ci lucra… ma è davvero così?
Non c’è dubbio, dunque: secondo la SIAE, Apple approfitta dei propri consumatori “lucrando” sul compenso destinato all’utilizzo delle copie private di brani musicali, videoclip e film scaricati sui dispositivi portatili. Ma è davvero così? In realtà la risposta più corretta sembrerebbe tendere verso una direzione contraria. Mettendo per un attimo da parte la vistosa campagna mediatica messa a punto contro l’azienda di Cupertino, bisognerebbe far luce su quello che, probabilmente, rappresenta l’aspetto più rilevante dell’equo compenso. Ossia il diritto (con il relativo dovere di pagare una “tassa”) di poter godere sul proprio dispositivo di una copia dei contenuti legittimamente acquistati per uso privato. Un diritto-dovere che si riflette in maniera inequivocabile sui consumatori, nonostante l’azienda di Cupertino venda il suo smartphone (ma in generale i suoi prodotti) ad un prezzo più alto IVA esclusa. Per quale ragione, dunque, soffermarsi sull’equo compenso, quando la “situazione” che lega Apple e l’Italia è ormai ben nota nell’ambiente? Forse per cercare di giustificare un compenso che, seppur esiguo (si tratta di poco più di 5 € per un iPhone top gamma da 64 GB di memoria interna), in un mercato sempre più libero dai vincoli “materiali” dei download e proiettato verso lo streaming o il cloud computing, stenta davvero a assumere una pur debole credibilità.