[highlight]È terminata l’ennesima campagna elettorale portata avanti a suon di slogan e comparsate in TV. I contenuti sono rimasti nell’ombra e con loro l’ambizione dell’Italia di tornare ad essere leader tra i leader[/highlight]
L’Italia è ad un bivio e molto del suo destino si giocherà in Europa. Un concetto semplice, quasi scontato, che però è scomparso dai dibattiti che hanno condotto al voto del 25 maggio. Berlusconi, Grillo, Renzi – in palese difficoltà sulle singole proposte – hanno ancora una volta scelto la strada del personalismo e del protagonismo. Nessuna rottura dunque col recente passato, nessun tentativo (abbozzato solo parzialmente dal presidente del Consiglio) di far capire agli italiani il perché sia così fondamentale essere protagonisti al tavolo di chi scrive le regole e la programmazione di un intero continente.
L’Europa unita è una risorsa preziosa, non un nemico. E fa specie che nel Paese degli euroscettici per eccellenza come l’Italia, siano proprio i nostri cari leader ad amplificare e non spegnere questo senso di indifferenza e di conflitto verso l’Europa. Gli interessi in gioco sono alti, altissimi. Così come i possibili vantaggi-svantaggi derivanti dall’esito delle consultazioni. C’è chi spera nell’ennesima risurrezione elettorale, chi scommette sul fallimento dei partiti e dunque del sistema, chi vede mettere a rischio il suo governo. L’unico comune denominatore, invece, è la ferma volontà di capovolgere austerità e fiscal compact.
Ma come sarà possibile, dal basso della nostra autorevolezza istituzionale, poter andare dinanzi alla cancelliera Merkel per imporle un netto cambio di rotta? È la cultura degli italiani che deve cambiare, che deve tornare a crescere al pari dell’economia. Queste elezioni europee rappresentano uno snodo cruciale proprio perché, così come avviene con le consultazioni nazionali, si ridisegna una nuova architettura del Parlamento. L’Italia, che è stata ispiratrice e regista dell’Unione, non può lasciare il fianco a chi scommette sul suo disfacimento, su chi addirittura vorrebbe abbandonare l’euro per tornare alla preistoria.
In campo ci saranno Schulz, Junker, Tsipras, Verhofstadt, Bové e Keller, una novità assoluta e senza precedenti: per la prima volta gli elettori conoscono in anticipo il nome del potenziale candidato alla guida del governo. Una scelta concepita nell’ottica della trasparenza poiché il futuro premier, a differenza di Barroso, dovrà rispondere direttamente al Parlamento e quindi agli (euro)elettori. Basterà per scongiurare lo spettro dilagante dell’astensionismo?