[highlight]Al Trianon vanno in scena agitazioni e proteste. I lavoratori dello storico teatro pubblico di piazza Vincenzo Calenda a Napoli proclamano lo sciopero dopo aver appreso la notizia che il teatro è di nuovo all’asta[/highlight]
Era il luglio del 2013 quando il tribunale di Napoli decideva di mettere all’asta il Trianon, con prezzo base di 4 milioni e 500 mila euro. L’incresciosa vicenda cominciò il 31 marzo del 2013, quando i due soci del teatro, la Regione Campania e la Provincia di Napoli, non ricapitalizzarono la società partecipata Trianon Viviani – che detiene sia la proprietà che la gestione delle attività del teatro – per scongiurare il pignoramento immobiliare e non impedirono la conseguente messa all’asta disposta dal tribunale di Napoli. Fu un’estate rovente per i dipendenti del Trianon, da allora sempre in stato di allerta.
Nei mesi sono state avallate ipotesi di risoluzione dei pignoramenti immobiliari e mobiliari e promesse di investimenti, che si sono rivelate solo spot propagandistici per quietare gli animi.
A distanza di quasi un anno le cose non sono cambiate. Le sorti dello storico teatro napoletano sono ancora in bilico.
È stato annunciato in questi giorni che il Trianon sarà venduto all’incanto il 17 giugno prossimo, presso lo Studio Legale Vasaturo, al prezzo base di 3,375 milioni di euro.
La notizia ha innescato l’immediata protesta dei lavoratori.
I dipendenti, esasperati da mesi di precariato e false lusinghe, hanno proclamato uno sciopero che sabato ha fatto saltare la messa in scena del concerto dei Beatbox dedicato ai Beatles, ricevendo la solidarietà degli artisti ospiti, che hanno eseguito alcuni brani al di fuori della struttura.
Sostenuti dai sindacati di categoria Slc-Cgil e Uilcom-Uil e da Sgc, il Sindacato dei Giornalisti della Campania, i manifestanti hanno issato uno striscione sulla facciata del teatro. «Mò basta! Solo chiacchiere e pignoramenti» è ciò che si legge a grandi lettere sullo striscione: un’accusa forte e precisa contro i rappresentanti delle istituzioni, incapaci di salvare un cimelio del patrimonio storico-culturale napoletano.
La protesta procede ad oltranza. I lavoratori minacciano di bloccare anche i prossimi spettacoli, fin quando non saranno ricevuti dal Presidente della Regione, Stefano Caldoro, al quale intendono chiedere come sia possibile evitare la privatizzazione gratuita di un bene pubblico.
Ad oggi la protesta è l’unica arma dei dipendenti, che denunciano:
[quote]Siamo da mesi in stato di agitazione e non ce la facciamo più a sentire la direzione del teatro che promette e annuncia quotidianamente, e con compiacimento, l’imminente risoluzione dei pignoramenti immobiliari e mobiliari, nonché un piano di investimenti: “mò basta!”, come diciamo nello striscione: perché sono trascorsi quasi quattro anni che ascoltiamo questa litania e non abbiamo mai visto neanche uno straccio di piano industriale. Non c’è più un minuto da perdere e chi ha fallito vada via[/quote]
I lavoratori in sciopero hanno scritto anche una lettera che segna la rottura con i vertici del teatro di Forcella. La lettera è in risposta alle dichiarazioni del direttore artistico Verdelli, che dapprima esprime solidarietà ai lavoratori, poi puntualizza che «non è così che si risolvono i problemi».
I dipendenti replicano con una lettere pubblicata ieri, 19 maggio, su Il Corriere del Mezzogiorno , che riportiamo integralmente di seguito:
[quote]Il teatro Trianon è una struttura pubblica, ovvero un bene comune. Per correttezza informativa, sentiamo quindi il dovere di replicare alla dichiarazione sul nostro sciopero che il direttore artistico Giorgio Verdelli ha rilasciato ad alcuni organi di informazione. Ringraziamo Verdelli per la sua solidarietà, che pensiamo anche di aver meritato, essendo stati l’unico suo riferimento certo e professionale nelle due stagioni che ha diretto, come peraltro hanno puntualmente confermato, a lui in primis, gli artisti ospitati. Desta tuttavia perplessità la sua dichiarazione contro la nostra protesta: «Non è così che si risolvono i problemi».
Il direttore artistico, proprio nel suo ruolo, dovrebbe essere soggetto primo nel trovare e perseguire le soluzioni ai problemi. Purtroppo non spiega, innanzitutto, come si risolve la situazione. Non spiega come è stato possibile che il teatro andasse due volte all’asta. Non spiega come non si sia ovviato ad avvitare ulteriormente nel periodo della sua direzione la complessa crisi finanziaria, economica e gestionale del Trianon. In proposito, per dovere di cronaca, ricordiamo che fino al 2010 il teatro aveva fidelizzato oltre quattromila abbonati, mentre l’attuale gestione, che vede Verdelli da due anni alla direzione artistica, non ne conta neanche uno. Non spiega il nostro “imbarazzo” – eufemisticamente definiamolo così – nel ricevere e lavorare con artisti ai quali lui, in giro per il mondo, aveva promesso una pianificazione promozionale inesistente, che, nel migliore dei casi, si è tradotta nell’uso allegro e sistematico di affissioni abusive.
Non spiega le ospitate di alcuni artisti importanti per comunicare con la loro presenza il tutto-va-bene-madama-la-Marchesa ai soci, i media e il pubblico, con condizioni economiche fuori mercato, mentre intanto non si pagano gli stipendi (da mesi) e i contributi previdenziali (da anni) ai lavoratori. Non ha mai spiegato, dentro e fuori al teatro, perché il Trianon è stato sempre fuori dal Napoli teatro festival Italia (la partecipazione avrebbe significato rilievo istituzionale, opportunità produttiva e di acquisizione di fondi finanziarî). Nell’accusarci di «atteggiamento autolesionistico», il direttore artistico elude pure le nostre fondate preoccupazioni sulla mancanza dell’agibilità di esercizio: in tal senso chi è irresponsabile verso i professionisti ospiti e il pubblico? i dipendenti con la loro estrema – e per un eccesso di fiducia, diciamolo pure, tardiva – protesta sindacale, o piuttosto coloro che, per legge, dovrebbero tutelare la sicurezza e l’incolumità collettiva, che toccano, quindi, anche gli stessi lavoratori?
Infine Verdelli, purtroppo, in modo singolare, dimentica che il nostro sciopero è il primo in assoluto in undici anni di attività del Trianon (di cui otto a gestione pubblica). In modo singolare, dimentica pure che questa protesta fa sèguito a quattro anni di chiacchiere del cda e di problemi irrisolti e incancrenitisi. Da mesi l’assemblea permanente ha dichiarato lo stato di agitazione. Nel contempo, abbiamo sollecitato molte volte un chiarimento concreto sulla crisi del teatro al presidente Maurizio D’Angelo, ai consiglieri Antonio Coviello e Luigi Rispoli, al deputato Marcello Taglialatela, delegato dalla Regione con una delega mai vista, nonché ai presidenti degli enti soci, Stefano Caldoro per la Regione Campania e Antonio Pentangelo per la Provincia di Napoli. Non siamo stati degnati di una risposta concreta. Neanche pochi giorni fa, quando abbiamo chiesto merito della nuova messa all’asta del Trianon. Un silenzio agghiacciante che ci ha, di fatto, costretti a fare sciopero, la nostra unica arma finale per scuotere le coscienze.
In sostanza, il direttore artistico ha taciuto, tace e continua a tacere sull’agonia di questo spazio centenario e vorrebbe che noi facessimo altrettanto. Ebbene, allo stato dei fatti, il silenzio di chi sa – e pure non contribuisce a risolvere concretamente i problemi – non è d’oro, perché non è una collaborazione utile, ma solo il collaborazionismo opaco verso frange della politica inetta e incapace. Purtroppo – e ribadiamo purtroppo! – solo quando abbiamo investito la collettività con un’informazione puntuale sul suo bene comune abbiamo avuto qualche risposta, seppur insufficiente visto lo stato dell’arte.
E con l’«Help!» dei Beatles cantato ieri sera dai Beatbox all’esterno del teatro – un gesto, il loro, di vera e sincera solidarietà verso il Trianon e i suoi lavoratori – chiediamo un aiuto concreto a tutti coloro che devono intervenire e a tutti i cittadini, gli artisti, i media, le istituzioni e i soggetti di rappresentanza economica, sociale e politica che possono intervenire[/quote]