[highlight]Questa mattina, all’alba, all’ospedale di Perugia, si è spento Roberto Mancini, uomo onesto e coraggioso, che ha pagato con la vita la sua sete di giustizia e verità[/highlight]
La sua battaglia, lunga dodici anni, si è conclusa oggi. Il linfoma non-Hodgkin, conseguenza dei veleni respirati durante anni di lavoro tra rifiuti tossici radioattivi, ha avuto la meglio. È morto a causa di un’infezione polmonare, complicanza di un trapianto di midollo osseo, unico tentativo di cura per combattere la sua leucemia.
Mancini fu tra i primi a denunciare il business degli sversamenti e dei roghi di rifiuti tossici in Campania. La sua battaglia gli è costata la vita. Nessun riconoscimento in vita ai suoi meriti e al suo coraggio. La sua determinazione è stata sbeffeggiata più volte.
Eppure, Mancini ha dedicato gli ultimi anni della sua vita alla lotta al biocidio. È da prima di “Gomorra” di Saviano, che denunciava il disastro ambientale in Campania. Correva l’anno 1996, quando consegna un’informativa alla Procura di Napoli che verrà presa in considerazione soltanto nel 2011.
Quel documento contiene rivelazioni scottanti. Dettagli raccapriccianti, troppo scomodi per essere divulgati. È tutto lì, nero su bianco. Quelle pagine parlano chiaro: ci sono dichiarazioni di pentiti, intercettazioni, pedinamenti, nomi di aziende del Nord coinvolte nel traffico dei rifiuti tossici, rapporti tra camorra, massoneria e politica.
In gioco c’erano gli interessi di molti, troppi. Per 15 lunghi anni è stata sacrificata la vita di migliaia e migliaia di vittime innocenti, tutto in nome del dio denaro.
Logiche di potere, interessi economici, politici e industriali hanno prevalso sul buon senso e sul bene comune.
L’ignoranza ha giustificato troppi omertosi.
L’informativa di Mancini è rimasta sepolta in un cassetto 15 lunghissimi anni, fin quando nel 2011 il pubblico ministero Alessandro Milita la ritrova e la mette agli atti del processo per disastro ambientale e inquinamento delle falde acquifere. Intanto, però, tra il 1997 e il 2001, Mancini aveva lavorato come consulente per la Commissione rifiuti della Camera dei deputati, eseguendo scrupolose ispezioni e sopralluoghi in discariche di rifiuti tossici radioattivi. È in questo periodo che Mancini si ammala di Linfoma non-Hodgkin. La diagnosi, arrivata nel 2002, è stata un duro colpo per un uomo che non ha mai avuto paura di parlare di ecomafia, sin da tempi non sospetti. Le sue denunce e il suo grido d’aiuto sono rimasti, però, inascoltati troppo a lungo.
Il suo coraggio non è mai stato davvero riconosciuto: il ministero degli Interni, certificato il suo cancro del sangue come “causa di servizio”, gli ha riconosciuto un ridicolo indennizzo di soli 5000 euro.
Tanto poco vale la vita umana? Non per gli oltre 20mila firmatari che il 6 Aprile avevano consegnato a Montecitorio un appello di giusto risarcimento al lavoro onesto e scrupoloso di Mancini. La Camera dei Deputi aveva promesso l’apertura di un’istruttoria. Mancini non potrà più vedere quel riconoscimento, semmai giungerà. I suoi familiari sì.
Ed è per loro e per la memoria di un poliziotto onesto che oggi la petizione di change.org continua a viaggiare spedita ed stata sottoscritta da più di 50mila persone.
Dal sito Change.org la moglie di Mancini si appella allo Stato:
[quote]Spero che le sofferenze che Roberto ha dovuto sopportare per aver servito lo Stato contro le ecomafie in Campania non cadano nell’indifferenza delle istituzioni e dell’opinione pubblica e mi auguro che il suo ricordo possa servire da esempio per tutti coloro che non vogliono arrendersi a chi vuole avvelenare le nostre terre, le nostre vite[/quote]
Le parole della vedova siano monito per non arrendersi allo sconforto, per non assuefarci al male. Siano pungoli all’indifferenza dilagante.
Il sacrificio di Mancini per amore della sua terra e del suo popolo non sia vano. Dia la forza alla cittadinanza attiva di essere contagiata dalla sua stessa sete di giustizia e verità.