[highlight]I dettagli del decreto lavoro del governo Renzi approdato alla Camera con la questione di fiducia che mette in crisi l’unità della maggioranza[/highlight]
Il governo ha deciso di porre la fiducia sul voto di approvazione del Decreto lavoro, pacchetto di misure contenuto nel più ampio piano di riforme denominato “Jobs act”.
La decisione di Matteo Renzi è arrivata dopo la presa d’atto dell’inconciliabilità delle posizioni dei vari partiti di maggioranza incapaci di trovare un accordo di sintesi tra le tante richieste di modifica. Lo scontro, soprattutto tra i vertici di Partito Democratico, Nuovo Centrodestra e Scelta Civica, ha spaccato la maggioranza, anche se Renzi ha bollato queste polemiche come semplici schermaglie in preparazione della campagna elettorale e ha richiamato tutti a una presa di responsabilità.
[quote]Queste polemiche sono tipiche di un momento in cui si fa campagna elettorale ma con rispetto della campagna elettorale noi vogliamo governare. Sui dettagli discutiamo ma alla fine si chiuda l’accordo perché non è accettabile non affrontare il dramma della disoccupazione[/quote]
È il ministro Maria Elena Boschi ad annunciare la decisione di porre la questione di fiducia quando era ormai chiara l’impossibilità di qualsiasi mediazione, anzi con il rischio che il decreto (scampato per soli 22 voti) tornasse in commissione a causa della mozione del Movimento Cinque Stelle.
A far storcere il naso a Ncd e Sc sono state le modifiche al testo originale, inserite dalla commissione lavoro della Camera che, a loro dire, ha snaturato il decreto.
I due partiti di governo hanno comunque già dichiarato di voler votare la fiducia per senso di responsabilità rimandando al Senato le velleità bellicose di riforma del testo, così come affermato dal capogruppo di Ncd, Andrea Romano:
[quote]È stata una strumentale alzata di scudi di carattere ideologico tra la sinistra del Pd e Ncd. Il clima della campagna elettorale è troppo pesante e impedisce di adottare leggi che migliorano il mercato del lavoro. Voteremo la fiducia per senso di responsabilità ma ci impegneremo al Senato affinché questo testo migliori ancora[/quote]
Cosa prevede il decreto lavoro
Il decreto proposto da Renzi e dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, prevede nuove norme che modificano la durata dei contratti a termine e la loro acausalità; modificano il numero massimo di rinnovi possibili dei contratti a tempo determinato; riducono i vincoli per i contratti di apprendistato; prevedono il diritto di precedenza per l’assunzione di donne in congedo maternità; reinseriscono il programma di formazione obbligatorio pubblico da affiancare a quello aziendale; aboliscono il Durc e inseriscono modifiche per i contratti di solidarietà.
I punti salienti della riforma sono:
Durata contratti a termine – La durata dei contratti a tempo determinato senza causale passa da 12 a 36 mesi. La percentuale di lavoratori assunti con questa tipologia contrattuale, per cui non è obbligatorio specificare la motivazione dell’assunzione, non potrà superare il 20% del totale. Il numero di rinnovi che in origine il decreto prevedeva per un massimo di otto volte in tre anni, è stato poi modificato dalla commissione in cinque. Inoltre, non ci sarà più l’obbligo di pausa tra un contratto e l’altro.
Meno vincoli per l’apprendistato – L’assunzione di nuovi apprendisti avrà meno vincoli ma resta comunque l’obbligo di assumere a tempo indeterminato alcuni apprendisti per poter assumerne di nuovi (la prima versione del decreto eliminava tale vincolo). L’obbligo di stabilizzazione di un minimo del 20% riguarda comunque solo le aziende con almeno 30 dipendenti. La retribuzione base degli apprendisti deve essere almeno pari al 35 per cento della retribuzione del livello contrattuale d’inquadramento.
Formazione pubblica – La formazione sarà a carico delle Regioni e sarà condizionata all’obbligo di comunicazione al datore di lavoro entro 45 giorni dall’inizio della firma del contratto su come sfruttare l’offerta formativa. Il datore dovrà quindi integrare la formazione aziendale con la formazione pubblica.
Contratti di solidarietà – Attraverso un decreto interministeriale si potranno definire i criteri per l’individuazione dei datori di lavoro beneficiari delle agevolazioni previste per i contratti di solidarietà entro i limiti delle risorse disponibili. Si innalza il limite di spesa concernente le risorse da destinare a questa tipologia di ammortizzatore sociale, pari attualmente a 5,16 milioni di euro portandolo a 15 milioni di euro a decorrere dal 2014. Sempre per i contratti di solidarietà, sono unificati al 35% gli sconti contributivi in tutte le Regioni (rispetto all’attuale 25% che per le aree svantaggiate sale al 30%).
Diritto di precedenza – Le lavoratrici madri potranno far concorrere il periodo di congedo di maternità per determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza all’assunzione a tempo e indeterminato. Inoltre a esse è riconosciuto il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo determinato effettuate entro i successivi 12 mesi con riferimento alle stesse mansioni già espletate durante i precedenti rapporti a termine. Il datore di lavoro è sempre tenuto a informare il lavoratore del diritto di precedenza mediante comunicazione scritta al momento dell’assunzione.
Durc – Il documento unico di regolarità contributiva sugli obblighi legislativi e contrattuali delle aziende nei confronti di Inps, Inail e Cassa edile viene sostituito da un modulo compilabile su internet che permetterà un verifica online della regolarità della posizione del datore di lavoro.
Regime transitorio – Per quanto riguarda la normativa applicabile ai rapporti in corso e a quelli nuovi prima dell’approvazione definitiva del decreto. Ai rapporti instaurati prima dell’approvazione del dl non si applica la sanzione del superamento del limite massimo del 20% di utilizzo dei contratti a termine. I limiti percentuali stabiliti dai contratti collettivi vigenti restano comunque in vigore, mentre il datore di lavoro avrà l’obbligo, se non ci sono limiti previsti dalla contrattazione collettiva, di rientrare nel tetto del 20% entro il 31 dicembre 2014. Chi non si adeguerà entro tale data non potrà stipulare nuovi contratti di lavoro a termine fino al rientro nel tetto.
A sostegno dell’approvazione di questo decreto c’è anche il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan che ha affermato:
[quote] La riforma del Lavoro portata avanti dal ministro Poletti accelera il beneficio in termini di occupazione della ripresa che si sta consolidando. Quanto alla riforma Fornero oggi richiede di essere modificata perché le condizioni recessive sono peggiorate[/quote]
L’iter parlamentare del decreto non sarà semplice, anche se l’apposizione della fiducia semplifica il procedimento di approvazione alla Camera richiedendo una prova di maturità e unione al governo. La lettura al Senato invece si annuncia più burrascosa visto che Ncd e Sc hanno già annunciato di voler modificare il testo.
Proprio i partiti che tanto si stanno battendo per l’abolizione del Senato si appellano a esso per far valere le proprie ragioni svilite dalla questione di fiducia posta alla Camera.
Renzi intanto spinge al massimo per l’approvazione del decreto in tempi brevi puntando sul non voler perdere la faccia per beghe politiche non necessarie. Bisogna però sottolineare le necessarietà di un’onesta discussione politica che superi il discorso del fare tutto e in fretta con il solo obiettivo di dimostrare una produttività che può risultare sterile.
Intanto la fotografia del lavoro in Italia delinea un quadro sempre più preoccupante.
Come emerge da dati Istat del 2013 oltre un milione di famiglie è senza reddito da lavoro. Tutti i componenti “attivi” disponibili sul mercato del lavoro risultavano disoccupati. Nel dettaglio 1 milione e 130 mila nuclei, tra i quali quasi mezzo milione (491 mila) corrisponde a coppie con figli, mentre 213 mila sono famiglie con un solo genitore. Il numero delle famiglie dove tutte le forze lavoro sono in cerca di occupazione risulta sempre più in crescita rispetto al 2012 (18,3%) e di molto rispetto al 2011 (56,5%). Si tratta di famiglie dove non ci sono risorse da lavoro, che magari sono costretti a lavorare in nero o che possono contare su redditi da capitale, rendite da affitto, da indennità di disoccupazione, o da redditi da pensione, di cui beneficiano membri della famiglia ormai ritiratisi dal lavoro attivo.
La situazione del 2014 non sembra interrompere questo trend negativo e i provvedimenti ricercati dal governo, come il tanto chiacchierato bonus di 80 euro, non sono misure strutturali capaci di far invertire la rotta.
Inoltre, queste norme sul lavoro sembrano poco efficaci vista la particolare realtà lavorativa italiana, caratterizzata da un mercato del lavoro bloccato da freni strutturali che questi provvedimenti (da sempre aggirati dalle aziende con il “beneplacito” di alcuni sindacati ) non vanno a intaccare.