[highlight]Mentre le aziende pubbliche chiudono in rosso le tasche dei manager si ingrossano. Ma non sarà più così[/highlight]
È scattato ufficialmente il tetto di 311 mila euro l’anno per gli stipendi di dirigenti e manager pubblici, che non potranno più ricevere una busta paga maggiore di quella del presidente della Corte di Cassazione.
È stato il ministero dell’Economia a stabilire i limiti dei compensi che andranno ad “abbattersi” sulle 200 società non quotate e controllate dal Tesoro.
L’obiettivo del governo è quello di estendere il provvedimento alle oltre 7000 società partecipate da enti pubblici come Regioni, Comuni, Province, Comunità montane, che maturano circa un quarto del ricavo totale (pari a 43 miliardi) delle imprese made in Italy e che convergono in una sorta di mega holding dagli scarsi guadagni. In un contesto nel quale le famiglie stringono la cinghia e il consumo nazionale si riduce, il tema dei tagli risulta scottante, ma potrebbe diventarlo ancor più alla luce di una serie di dati e riflessioni che smascherano il carattere contraddittorio e non privo di anomalie delle Spa di Stato.
Per capirci, si tratta di società che controllano gran parte dell’economia occupandosi di vari settori (idroelettrico, informatico, gioco d’azzardo, alberghiero) e nelle quali una quota del capitale sociale è di proprietà di un ente pubblico. Un sistema che ha saputo produrre nel tempo soprattutto assunzioni clientelari, superstipendi e una sovrabbondanza di poltrone.
Ecco la degenerazione di un capitalismo municipale nel quale politica e affarismo si intrecciano, chiudendo, per di più, in rosso. In Italia, infatti, lo Stato tiene il banco ma perde come se avesse truccato la roulette contro se stesso. La metafora non è casuale: nel 2011, ad esempio, il Casinò municipale Campione d’Italia, partecipato dal Comune di Como, ha registrato una perdita da 40 milioni di euro, mentre il Casinò di Venezia, potenziale miniera d’oro nelle mani del Comune, ha totalizzato nello stesso anno un deficit di 16 milioni di euro. Una situazione simile si ripresenta per il settore termale: nel 2011 hanno chiuso il bilancio in perdita le terme di Montecatini (-1,6 milioni), Salsomaggiore (-3.2 milioni) e di Agnano (-3,1 milioni). Attualmente, secondo quanto rilevato dalla Confindustria, le 7700 Spa pubbliche viaggiano con una perdita complessiva di circa 800 milioni.
Il paradosso è che, alla luce di tali dati, le tasche dei manager non ne hanno mai risentito a causa del meccanismo che rende lo stipendio una variante indipendente dai risultati. Ed ecco che, con la crisi, bisogna porre un freno al mondo degli affari, attraverso regole come quella che introduce sistemi di verifica e controllo dei risultati. Il decreto 166 del Ministero dell’Economia stabilisce, infatti, un principio di proporzionalità che lega gli assegni dei dirigenti alla complessità del loro lavoro, sulla base di parametri precisi che riguardano la produzione e gli investimenti. In merito, Renzi ha dimostrato una forte decisione:
[quote]Piaccia o non piaccia il governo intende andare fino in fondo. È il modo di fare la pace con gli italiani[/quote]
Per il momento, però, ha fatto pace soltanto con le società che non sono state vincolate dal decreto.