[highlight]L’ottima prova del difensore contro la Spagna apre le porte a nuovi esperimenti. Anche l’Italia come la Germania? Il calcio dà una scossa anche al Paese?[/highlight]
È andata male ancora una volta. Anche al Vicente Calderon di Madrid l’Italia di Cesare Prandelli non è riuscita a trovare l’antidoto contro una Spagna come sempre da mal di testa, che ha confermato la sua superiorità sul campo suggellandola con il gol vittoria di Pedro. Non c’è niente da fare: se la nostra Nazionale fosse Superman, le Furie Rosse sarebbero la sua cryptonite.
Per fortuna, non si tratta di nessuna competizione ufficiale e, almeno per ora, possiamo concentrare la nostra attenzione anche su aspetti meno tecnici e che, se vogliamo, si allontanano anche un po’ dal rettangolo di gioco. Oltre al grande fascino che questa sfida comporta, l’attenzione del Madrigal ieri era concentrata anche su un altro aspetto, più interessante dal punto di vista sociologico che sportivo. Gli osservati speciali, per una volta, non sono stati fuoriclasse eccelsi e uomini da copertina bensì tre giocatori abituati a masticare filo spinato in campo e a mettersi al servizio della squadra, finiti sotto “l’occhio di bue” in quanto oriundi. Si parla, ovviamente, di Pablo Daniel Osvaldo, Thiago Motta e Gabriel Paletta.
Se l’utilizzo di giocatori oriundi non è una novità nella storia della nostra Nazionale (l’Italia ne conta ben 42, da Altafini a Schelotto, passando per Sivori, Schiaffino e Camoranesi, che detiene il record di presenze per quanto riguarda questa particolare categoria, con 55 gettoni all’attivo), lo è di più vederne tre contemporaneamente in campo. Di sicuro avrà fatto un po’ effetto, non tanto a chi guardava da casa o allo stadio, ma a chi poteva ascoltare da vicino, sentire l’inno di Mameli cantato con gli accenti argentino e brasiliano che si mescolavano a quelli abituali dei dialetti nostrani. In realtà, non dovrebbe essere così. Perché, anche sotto questo punto di vista, l’Italia arriva molto tardi rispetto ad altre nazioni (in questo caso, ad altre Nazionali) che già da anni annoverano nelle loro rose numerosissimi oriundi.
Ma cosa significa oriundo? Niente di più semplice, dato che questo termine è utilizzato soprattutto in ambito sportivo e sta ad indicare chi è nato o risiede in una città o nazione nella quale si sono trasferiti i propri genitori o i propri antenati in tempi passati e che, proprio in virtù di questa parentela, può ottenere il doppio passaporto, basato non sullo ius soli, ma sullo ius sanguinis, che appunto è legato ai rapporti di discendenza familiare.
È per questo che Pablo Osvaldo da Buenos Aires può indossare la maglia azzurra ed è per questo che Thiago Motta da Sao Bernardo do Campo, ma discendente di tale Fortunato Fogagnolo di Polesella, può fare lo stesso. Sia per l’uno che per l’altro, però, scendere in campo e abbracciare i compagni sulle note dell’inno italiano non è più una novità, visto che hanno disputato rispettivamente 13 e 18 partite, sempre sotto la guida di Prandelli. L’emozione, a Madrid, era tutta nelle gambe di Gabriel Paletta da Buenos Aires, ma di origini calabresi. Un’emozione che non si è fatta sentire per niente, anzi. Alla fine il difensore del Parma si è rivelato una gradevolissima scoperta che, all’età di 28 anni e con alle spalle esperienze in club come Liverpool e Boca Juniors, diventa il migliore in campo di Spagna-Italia nel giorno del suo debutto in Nazionale. Molto meglio delle ultime versioni azzurre di Chiellini e Bonucci, comunque. Il buon Paletta, dopo averne parlato qualche giorno fa, è sceso in campo, ha cantato l’inno e ha affrontato i vari Iniesta, Pedro e Fabregas a testa alta. In fondo, era anche in buona compagnia considerando il fatto che, dall’altra parte, anche la Spagna faceva esordire un giocatore dal doppio passaporto: Diego Costa che, tra l’altro, giocava anche in casa (essendo la punta di diamante dell’Atletico). E proprio il primo contrasto in assoluto della partita è quello che ha poi fatto da fotografia a tutto l’incontro, con l’attaccante e il difensore che si sono scontrati subito nell’area azzurra lasciando ai più cinici il dubbio se si trattasse ancora di Spagna-Italia o se avessero pescato per sbaglio una replica sconosciuta di qualche Brasile-Argentina.
A tutti gli altri, invece, resta da analizzare un dato di fatto. Nella capitale spagnola, non si affrontavano solo le ultime due squadre vincitrici di un Campionato del Mondo, ma anche due delle nazionali europee “meno miste” del continente. Già, perché se Spagna e Italia stanno cominciando ora il loro processo di “globalizzazione calcistica” che divide i due Paesi anche dal punto di vista socio-politico oltre che sportivo, in altre parti del Vecchio Continente questa non rappresenta più una novità da anni.
Il caso più eclatante riguarda la Germania. La nazionale di Loew al Mondiale sudafricano fece parlare molto di sé, ancora prima che la spedizione cominciasse, per il numero di oriundi (o più precisamente, tedeschi di origine straniera) in rosa: ben 11. Oggi, a pochi mesi dal Brasile, “le aquile” contano ne contano in squadra almeno 6: 2 polacchi (Klose e Podolski), 2 africani (Jerome Boateng, ghanese, e Sami Khedira, di origini tunisine), 1 turco (Ozil) e 1 spagnolo (Gomez). Senza contare lo scabroso caso dell’altro Boateng, Kevin-Prince, che col suo no alla nazionale tri-campione del mondo, fece infuriare non poco i tedeschi. Il tutto mentre la nazione della Merkel conta circa 16 milioni di persone di ascendenza straniera.
A qualche chilometro dalla Germania, l’altro caso che ha fatto molto parlare soprattutto negli ultimi tempi è quello della Svizzera. Da sempre terra ospitale e multietnica, il Paese transalpino riflette queste sue due caratteristiche anche nella nazionale di calcio, almeno finora. Già, perché appena il 9 febbraio scorso nella precisa Svizzera è stato votato un referendum riguardante proprio la presenza degli immigrati nella nazione. Il responso? Ha vinto il no, con un fragilissimo 50.3% che ha subito provocato il “rammarico” dell’Unione Europea. Automaticamente, su molti siti è sorta la curiosità: ma, pensando alle frivolezze, quanti giocatori avrebbe la nazionale di calcio Svizzera senza gli immigrati? Tre: Steve Von Bergen, Reto Ziegler e Michael Lang. Il resto? Beh, basti pensare ai centrocampisti del Napoli Gokhan Inler, Valon Behrami e Blerim Dzemaili, rispettivamente di origine turca, kosovara e jugoslavo-albanese.
Il mondo sta girando, anche quello del pallone, e vuoi vedere che per una volta si sia invertito il verso? Vuoi vedere che dal calcio fuoriescano anche esempi positivi, che fungano da spunto per tematiche molto più importanti e impegnative?
Ovviamente, prendendo sempre le giuste contromisure e tenendo presente che tutta l’evoluzione delle leggi e delle norme (anche sportive) deve necessariamente basarsi su un principio di uguaglianza. È proprio questo il fine ultimo della questione: far partire tutto sempre dallo stesso gradino di un podio piatto. Nel calcio, ad esempio, la questione si riduce a non premiare un tale Rossi o un tale Esposito in quanto Rossi ed Esposito come nel non premiare un italo-argentino-brasiliano per pura esterofilia.
Vedremo, nei prossimi mesi che ci avvicinano al Mondiale, come si comporterà Prandelli anche in questo senso con altri oriundi, come Jorginho, Romulo e Jonathan, che scaldano i motori e già hanno espresso la loro voglia di giocare per i colori azzurri.
Vuoi vedere che… l’Italia s’è desta?