[highlight]Presente allo Smau di Napoli in qualità di Relatore, Pasquale Popolizio ha dedicato una vita alla comunicazione, al marketing e al web. Attualmente è vice presidente di IWA Italy[/highlight]
IWA Italy è un’associazione professionale che raggruppa tutti coloro che operano nel Web, con qualsiasi inquadramento lavorativo, con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, agevolando la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza.
Presente allo SMAU di Napoli, il Vicepresidente dell’associazione, nonché coordinatore responsabile del gruppo Web Skill Profiles, Pasquale Popolizio, ha acconsentito a rilasciarci un’intervista, che riportiamo di seguito.
Parlaci un po’ di questa associazione e del lavoro che svolge nel settore ICT.
Il gruppo è nato nel dicembre del 2006 per definire uno standard non proveniente dall’alto, ma condiviso e quindi accettato dalla stragrande maggioranza degli operatori di internet in italia. Partecipano oltre 200 realtà, associazioni e aziende piccole medie e grandi, importanti gruppo come Google, Adobe, IBM e professionisti del settore. Nel febbraio di quest’anno abbiamo pubblicato i primi ventuno profili professionali ITC europei di terza generazione. Perché dico di terza generazione? Perché c’è uno standard europeo, che si chiama “European e-Competence Framework 2.0”, di cui è in via di definizione e pubblicazione la versione 3.0. Che cos’è? È la definizione europea delle competenze professionali di chi lavora nell’ICT. Allora cosa abbiamo fatto? Abbiamo preso il format delle e-Competence Framework, lo abbiamo trasferito secondo le loro direttive nel campo del web e abbiamo definito ventuno profili professionali di terza generazione ICT. La cosa interessante è che così come è stato spiegato da Agostino Ragosa dell‘Agenzia per l’Italia Digitale e da Clementina Marinoni della Fondazione Politecnico di Milano, che è una delle referenti del gruppo delle e-Competence Framework, a Roma il 29 novembre scorso durante un convegno organizzato proprio dall’Agenzia per l’Italia Digitale, questo standard europeo sarà uno dei capisaldi sui quali si costruirà il futuro “Piano nazionale per il lavoro, la formazione e le competenze digitali”.
Il vostro progetto è molto orientato al mercato del lavoro. In Italia, però, possiamo affermare che c’è scarsa attenzione per il settore ICT, anche se da solo ha creato circa un milione di posti di lavoro nel nostro paese. Ma le Università, l’attenzione delle aziende per l’innovazione tecnologica è un punto fermo, o almeno non tiene il passo con le realtà nord europee. Secondo te perché c’è questa lentezza? È un problema culturale?
Hai colto bene il problema. In Europa ci sono 700mila posti di lavoro vacanti nel settore ICT. Questo dato è drammatico e quando lo dico nessuno ci crede, invece è così. Allora, manca professionalità, ma per varie ragioni. Il sistema universitario che è basato ancora su, non dico lauree vecchie, ma su una struttura che deve affinata, che deve migliorare e che ha tutte le possibilità per farlo. Noi daremo il pungolo affinchè questo avvenga. Pero’ spetta anche al giovane professionista cercare di professionalizzarsi sempre meglio, deve capire che il concetto del posto fisso non ha più senso, come non ha senso il concetto del “nei prossimi 5 anni voglio fare questo”, no, tu devi pensare ai prossimi 6 mesi, al prossimo mese. Il nostro gruppo infondo cosa fa? Non facciamo nient’altro che definire delle figure che possano costruirsi su dei mattoncini che sono le competenze. Allora si mettono insieme le tre grandi realtà: l’ente di formazione che ha a disposizione i mattoncini per poter costruire l’offerta formativa basata sui mattoncini; il professionista che può scegliere i mattoncini delle competenze per poi acquisirne di nuove relative ad un profilo professionale; e le aziende che a quel punto possono dire “a me serve un community manager”, “a me un content management specialist”, e non devono stare lì a discutere sulle cose che deve saper fare, perché è già stabilito nei dettami del profilo.
Tra i ventuno profili molto spazio viene dato ai Social Media e alla Comunicazione Digitale. Il problema, però, è che la maggior parte delle persone non capisce che lavorare sui social network non significa giocare a Candy Crush. In realtà, alla base di queste professioni ci sono strategie di comunicazione. Che consiglio ti senti di dare ai ragazzi che non riescono a capire le reali potenzialità di questi strumenti?
Dovrebbero capire e imparare che il loro primo cliente sono loro stessi. Devono pensare che quando sei su Facebook devi cercare di gestire al meglio la tua reputazione partendo dai tuoi profili. Tu non puoi immaginare di lavorare per qualcuno se non sei in grado di lavorare per te stesso. quindi la prima cosa che devi fare è realizzarti tutta la tua presenza web per gestire al meglio la tua reputazione, farti le ossa sui tuoi account e vedere come proporti ai potenziali clienti. Ma deve partire da te.
È un po’ quello che sostiene Ben Casnocha nel suo libro “Teniamoci in contatto”, che ogni persona non può limitarsi ad essere dipendente di un’azienda, ma deve essere imprenditore di se stesso. È così? I ragazzi devono imparare a “vendersi” al migliore offerente?
Esattamente. Sai cosa dico sempre quando vado a fare docenze in aula? Dico sempre agli uditori che in quella stanza sono magari in venti, ma fuori ci sono altri 7 miliardi di persone di cui almeno quattro miliardi hanno più “fame” dal punto di vista del riuscire a fare qualcosa. Quindi, ai ragazzi dico: datevi da fare e allo stesso tempo cercate di costruire qualcosa che valga per voi, perché non avete nulla di diverso e di migliore rispetto al giovane ragazzo lituano, della repubblica ceca, o indiano. Anzi, hanno più fame culturale di noi.
Insomma, il famoso “Stay Hungry, Stay Foolish” di Steve Jobs, che aveva capito tutto già all’epoca del suo famoso discorso di quasi 9 anni fa?
Eh si, certo. Ma c’è una cosa ancora più bella. Più si va avanti e più nascono possibilità, per tutti quanti noi, di poter migliorare. E questo è un fatto positivo.