[highlight]Il racconto di un pestaggio avvenuto in strada, e del coraggio di una donna che si è rifiutata di restare a guardare[/highlight]
Questo non è un semplice articolo di cronaca.
Non posso prendere le distanze dall’episodio che vado a riportare perché ne sono stata, in qualche modo, protagonista. Proverò perciò a raccontarlo nell’unico modo che reputo possibile: descrivendo ciò che ho visto e vissuto in prima persona.
Ieri alle 18,00, sul corso Vittorio Emanuele a Marigliano, un uomo è stato brutalmente aggredito. Mi trovavo in una pasticceria, quando ho sentito delle urla provenire dal marciapiede opposto, più o meno a cento metri da me. Pensavo si trattasse di uno scherzo, del solito gioco tra compagni. Ma non era così: un uomo stava realmente subendo gravi percosse da individui che brandivano mazze da baseball.
Forse stupidamente, ma coscientemente, sono corsa in quella direzione, mentre quelle due o tre persone (non ricordo bene quante fossero) sono salite in macchina e, per mia fortuna, sono fuggite.
La vittima, intanto, era a terra semi-sdraiato sul fianco destro e perdeva sangue dalla bocca e dal ginocchio.
Dopo qualche minuto si è alzato piano, appoggiandosi a me. Gli doleva molto il braccio sinistro.
Gli ho chiesto cosa fosse successo: diceva di non conoscere i suoi aggressori, che lo avevano scambiato per qualcun altro… e che per questo lo avevano picchiato.
A questo punto, solo a violenza terminata (e dopo la telefonata di prassi al 112 e al 118), si sono avvicinate alcune persone, tra cui un poliziotto in borghese che ha iniziato a fare accertamenti sull’avvenuto, annotando su di un bloc-notes tutto ciò che l’uomo riusciva ancora a ricordare a caldo.
Una grande calca di persone si è radunata intanto intorno a me. Dopo essermi accertata che carabinieri e ambulanza fossero arrivati e che l’uomo fosse al sicuro, anche grazie al poliziotto che gli era rimasto accanto, mi sono allontanata dal luogo dell’accaduto e dalla massa delle persone, con le gambe un po’ tremanti e l’animo agitato, tra coloro che mi chiedevano informazioni su quanto successo, o chi mi diceva addirittura di aver visto, ma di non essere volutamente intervenuto.
Perché? Per paura? Certo, anche io ne ho avuta, anche se l’ho avvertita dopo, dopo che tutto era finito. D’istinto non riuscivo e non sarei riuscita a restar ferma a guardare che lo finissero di massacrare di botte.
Ho avuto quello che il grande Totò avrebbe chiamato “il coraggio della paura”.
Non so se il mio intervento sia stato stupido, come qualcuno lo ha definito, visto che non avevo con me un’arma né possiedo la pur minima conoscenza di autodifesa. O se invece il mio comportamento, oltre che decisivo per far fuggire quei balordi, sia stato coraggioso, come invece altri hanno affermato, laddove in molti avrebbero scelto di non agire per paura, perché è più facile girare la faccia dall’altra parte e farsi i fatti propri.
Forse il mio intervento è stato stupido: non tanto per me, quanto per la paura che ho provocato in mia madre con questa azione.
Ma allora, cosa è giusto fare? So solo di aver agito di istinto perché in quel momento dentro di me ho detto: “ma che stanno facendo? Si devono fermare!”
E voi? Sareste rimasti fermi a guardare?
Photo Credit: Maria Antonetta, Don’t Touch Me, progetto fotografico di GmPhotoAgency