[highlight]Malato da anni di cancro, è morto questa mattina nella sua casa di Napoli[/highlight]
Marcello D’Orta autore del Best seller “Io speriamo che me la cavo” è morto questa mattina all’alba (intorno alle 5.40) nella sua abitazione a Napoli, in via Arenella. La notizia della scomparsa è stata data dal figlio Giacomo.
D’Orta, ammalato dal 2010 di cancro, è stato un maestro elementare fino al 1990, quando raggiunse la notorietà per la pubblicazione del libro “Io speriamo che me la cavo”, diventato poi un bestseller con più di un milione di copie vendute.
Il successo fu tale che nel 1992 Lina Wertmuller lo portò sul grande schermo: a interpretare il ruolo del maestro Marco Tullio Sperelli, trasferito per errore alla scuola Edmondo De Amicis di Corzano (Arzano nel libro, nda), l’attore Paolo Villaggio.
Nel 2007 il libro è diventato anche una commedia teatrale con Maurizio Casagrande e le musiche di Enzo Gragnaniello.
Negli ultimi tempi, D’Orta era impegnato nella stesura di un libro su Gesù, cercando di sfruttare la scrittura come antidoto per allontanare il più possibile quel male che lo stava consumando.
Prima di essere uno scrittore di successo era soprattutto un maestro, diverso, capace di interessarsi non solo dell’alunno ma anche del bambino, con tutti i problemi sociali derivanti dal vivere in un contesto complicato.
Si definiva, infatti, un “maestro sgarrupato”:
[quote]Sgarrupato era l’ambiente dove andai ad insegnare, sgarrupate erano le scuole e “sgarrupato” era lo stipendio[/quote]
“Sgarrupate” erano anche le sue storie, diverse, raccontate con un’anima napoletana inequivocabile. Oltre a “Io speriamo che me la cavo”, ha pubblicato anche “Dio ci ha creato gratis”, “Romeo e Giulietta si fidanzarono dal basso”, “Il maestro sgarrupato”, “Maradona è meglio ‘e Pele”‘, “Storia semiseria “del mondo”, “Nessun porco è signorina”, “All’apparir del vero, il mistero della conversione e della morte di Giacomo Leopardi”, “Aboliamo la scuola”, ”A voce d’e creature’‘ e ”Era tutta un’altra cosa. I miei (e i vostri) Anni Sessanta”.
Le sue erano storie ironiche e reali, da cui trasudava l’amore per la sua Napoli, di cui diceva:
[quote]Napoli è un teatro a cielo aperto. Vi si recitano la tragedia, la commedia e la farsa. Sono aspetti del vivere quotidiano che m’interessano e mi riguardano, perché li ho vissuti tutti. E cerco di rappresentarli nei miei libri o nei miei scritti giornalistici. Nel dialetto napoletano non esiste il futuro, quasi a significare che si vive un eterno presente; per questo che per le strade si canta, si strilla, si fa rumore, un rumore assordante e a momenti insopportabile. Napoli è viva, Napoli è il sale di questo insipido pianeta, Napoli è una città anarchica che tuttavia ha organizzato il suo caos. Napoli è una casbah che dà lezioni di fantasia, Napoli è l’ultima possibilità che ha il genere umano di sopravvivere, come ha detto quel filosofo-ingegnere. Tutta questa filosofia io ce l’ho nelle vene, essendo nato nel ventre della città[/quote]
Ha collaborato con tanti quotidiani, ma si è sempre sentito bistrattato dalla cultura ufficiale napoletana:
[quote]Per la cultura napoletana, per i suoi “baroni”, io non esisto. Ad ogni manifestazione culturale promossa dal Comune, sono (o erano..) invitati (e premiati) sempre gli stessi: Rea, Prisco, La Capria… Collaboro da anni a quotidiani del Nord (“il Giornale” “Resto del Carlino-Giorno-Nazione”) non al “Mattino”, a “Repubblica-Napoli”, al “Corriere del Mezzogiorno”. Cosa posso pensare della cultura napoletana?[/quote]
Era troppo ancorato alla realtà per ricercare onorificenze ufficiali, onori che aveva comunque ottenuto in tutto il mondo con le numerose traduzioni del suo libro.
Ci saluta un fine umorista che amava Dickens, capace di celare dietro storie ironiche e divertenti tanta amarezza. L’amarezza della sua terra tanto amata e “sgarrupata”.
I funerali si terranno domani, 20 novembre, nella Basilica di San Francesco di Paola, in piazza Plebiscito a Napoli.