[highlight]Spiagge, isole, palazzi, Dolomiti: i tesori dell’Italia all’asta[/highlight]
Svendite su tutti i fronti in Italia: oltre alle imprese cedute a privati stranieri, persino i “tesori” del demanio rischiano di passare, a basso prezzo, nelle mani di privati.
Il dibattito sulla cessione delle spiagge italiane, infatti, è interno a quello già molto acceso sui provvedimenti che con la legge di stabilità dovrebbero entrare in vigore.
Per dare un’idea del caos regnante nel governo delle larghe intese basta evidenziare che gli emendamenti depositati alla Commissione Bilancio del Senato ammontano a ben 3.093, dei quali 992 sono stati presentati dal Pd e 814 dal Pdl. Ad accendere la miccia, stavolta, è stato il dietrofront finale del Pd intorno alla questione degli stabilimenti balneari, in quanto il partito ha ritirato l’emendamento che stabilisce la vendita delle aree marittime sinora in concessione, con l’offerta agli attuali concessionari del diritto di prelazione all’acquisto.
Tuttavia, Guglielmo Epifani si è affrettato a precisare che quella dei 9 senatori schieratisi a favore della cessione non è la posizione del partito e aggiunge che «le spiagge sono di tutti … Lasciamole di tutti».
Bocciata, dunque, per il momento, l’iniziativa che per il senatore del Pdl Sergio Pizzolante avrebbe rappresentato «una grande occasione per un’opera di riqualificazione delle strutture turistiche italiane». Dichiarazioni di questo tipo hanno provocato la reazione del presidente della Commissione Ambiente Territorio, Ermete Realacci, che è prontamente intervenuto bollando tale proposta come impresentabile e offensiva per la dignità del Paese e concludendo con una battuta: [quote]Aspettiamo solo che qualche emulo di Totò proponga di vendere la Fontana di Trevi.[/quote]
L’ironia di Realacci si avvicina alla realtà più di quanto possa sembrare: la svendita del patrimonio ambientale e paesaggistico dell’Italia non è una novità, ma una strada intrapresa già da alcuni anni.
Per assicurarsi introiti finalizzati alla riduzione del debito il governo opta, infatti, per il passaggio dei beni dello Stato nelle mani delle autonomie che hanno l’obbligo di valorizzarli. E così non solo spiagge, ma anche isole, palazzi storici e Dolomiti finiscono per essere etichettati non più come beni comuni ma come proprietà di grande valore “messe all’asta” e oggetti del desiderio di privati disposti a comprarli in vista dell’immensa fortuna che ne possono ricavare.
Tutto questo a discapito dello Stato, che dalla cessione guadagna ben poco rispetto alle cifre di cui necessita per il pareggio di bilancio. Inoltre, ad essere messo in pericolo è l’autentico made in Italy, incarnato nel nostro Paese dalle incomparabili bellezze paesaggistiche, così come dall’immenso patrimonio culturale e architettonico.
Un conto è sortire effetti positivi dalla vendita a stranieri di imprese indebitate fino al collo e che non rappresentano, a dispetto di molti, l’italianità; un conto è espropriare i cittadini di ciò che costituisce la ricchezza spirituale del Paese.
Una ricchezza che, se si evita la gestione a piacimento dei privati, potrebbe davvero battere la concorrenza.