[highlight]Il problema delle carceri in Italia, sollevato dal Presidente della Repubblica, trasformato in una polemica sterile e inconcludente[/highlight]
Nei commenti di stampa seguenti alla lettura del messaggio sullo stato delle carceri (e dei carcerati) in Italia inviata dal Presidente della Repubblica alle Camere ed alle reazioni suscitate, pochi hanno ricordato che già nell’anno 2000 Papa Giovanni Paolo II, in una visita al carcere di Regina Coeli, chiese alla politica un «atto di clemenza verso i carcerati», reiterato nel novembre del 2002, in un discorso alle Camere in seduta congiunta, in cui tra l’altro sostenne:
[quote]…in questa prospettiva, e senza compromettere la necessaria tutela della sicurezza dei cittadini, merita attenzione la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolarne l’impegno di personale ricupero in vista di un positivo reinserimento nella società[/quote]
Da quella perorazione, posta con decorosa pietà, non è scaturito alcun atto conseguente che modificasse la drammatica situazione carceraria, qualunque compagine si sia successivamente susseguita al governo del Paese. Nell’anno 2013, proprio in questi giorni, Giorgio Napolitano ha riproposto il problema, ricordando ai nostri parlamentari che se si è rivolto alle camere «…è per porre a voi con la massima determinazione e concretezza una questione scottante, da affrontare in tempi stretti nei suoi termini specifici e nella sua più complessiva valenza. Parlo della drammatica questione carceraria e parto dal fatto di eccezionale rilievo costituito dal pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo», richiamando la necessità per l’Italia di sottrarsi al giudizio negativo degli altri paesi e chiedendo ai governanti di mettere in campo una serie di “misure alternative” alla carcerazione, di creare le condizioni per il “minimo ricorso alla carcerazione”, di prevedere, tra altre misure ancora, che gli stranieri condannati (che rappresentano un’altissima percentuale dei detenuti nelle nostre carceri) scontino la pena nei loro paesi di origine, evocando infine il ricorso, nei termini consentiti dalle opportunità contingenti, all’indulto e all’amnistia. Della complessità del discorso del Presidente della Repubblica, anch’esso ispirato alla pietà umana oltre che al rispetto delle convenzioni internazionali, non è rimasto quasi nulla, accantonato dagli stessi parlamentari destinatari, ridotto all’essenziale nei commenti dei partiti, strumentalizzato ai fini della banale polemica quotidiana o del conseguimento del consenso contingente, al prezzo di un ulteriore scadimento della sensibilità dell’opinione pubblica verso la sofferenza e l’emarginazione e verso il rispetto della dignità umana.
Il commento più incomprensibile e strampalato è stato espresso da Matteo Renzi, il quale ha dichiarato davanti alla platea che era andato ad ascoltarlo alla Fiera di Bari che «il tema dell’amnistia e dell’indulto è un clamoroso autogol».
Ma di chi, del Presidente della Repubblica? Come se il Presidente fosse un capo di partito e nei suoi messaggi dovesse valutare se il loro contenuto è un “clamoroso autogol” o una “trovata pazzesca”.
L’impressione che si ricava dall’uscita di Matteo Renzi è che il clamoroso autogol l’ha fatto proprio lui, con un’improvvida frase in cui si ritrova tutta una serie di elementi, come dire: che non ha letto (o letto male) il messaggio del Capo dello Stato, che non ha parlato solo di indulto e di amnistia; che non conosce i limiti dei provvedimenti citati, che possono essere applicati garantendo tutta la necessaria sicurezza circa eventuali conseguenze impreviste che ne potrebbero scaturire; che non conosce (o finge di ignorare) le prerogative del presidente della Repubblica; che ignora (o volutamente cancella) i diritti inalienabili relativi al rispetto della dignità delle persone sanciti dalla Carta costituzionale; che confonde il messaggio presidenziale come una specie di pronunciamento di partito (il che spiegherebbe il riferimento all’autogol), e via così. E tutto questo viene da una persona che si candida alla segreteria del maggior partito italiano, nel quale si ritrovano le migliori e le più alte tradizioni dell’umanesimo laico e cristiano e le esperienze più significative di solidarietà e di vicinanza ai bisogni della collettività. Ancor più, da una persona che aspira a diventare il capo del governo.
Ricordo che tradizionalmente il ricorso all’indulto e all’amnistia è stata una prerogativa prevalente dei governi di centro destra, soprattutto nell’ultimo ventennio della nostra repubblica; e che la sinistra ha sempre guardato a questi provvedimenti con poca simpatia: basterebbe questa riflessione per spazzare via ogni sospetto di strumentalismo che si potrebbe avanzare sull’iniziativa di Giorgio Napolitano, uomo sicuramente di consolidata storia di sinistra. Ma nasce invece il sospetto che lo strumentalismo si trovi proprio nel commento di Matteo Renzi, che sapendo di non pescare più consensi a destra o nel centro destra (i sondaggi lo confermano), tenta di riprendersi il consenso perduto di una sinistra che aveva perso interesse alla sua proposta politica. Insomma: un giorno di qua, un altro di là, inseguendo i fatti quotidiani e interpretandoli esclusivamente col misurino del consenso da suscitare. E la politica? E il senso di responsabilità? E il ruolo dei partiti? E la discussione e il confronto? Altri clamorosi autogol!