[highlight]L’ambientazione è suggestiva, l’atmosfera surreale: benvenuti alla prima serata del Pomigliano Jazz Winter Edition[/highlight]
Piacevoli note accolgono il visitatore sin dal suo ingresso nel complesso monumentale di San Domenico Maggiore che, per una sera, farà da cornice a una esibizione di prim’ordine. Infatti, in virtù della collaborazione con Piano City, l’esordio del Pomigliano Jazz winter edition è stato affidato alle sublimi note del maestro Enrico Pieranunzi.
Il noto jazzista italiano, la cui fama ha ampiamente varcato i confini nazionali, è stato invitato ad esibirsi nella sala del Refettorio. Al suo centro, per l’occasione, è stato collocato un magnifico piano a coda, lasciato aperto a beneficio dell’acustica. Una scelta precisa del musicista, come ha lui stesso rivelato.
La platea accoglie calorosa il compositore romano, uomo dall’aria mite, che riceve con piacere l’inaspettata benedizione di uno dei frati del convento.
Lo spettacolo inizia e il sorriso timido lascia il posto a un piglio deciso. Il maestro improvvisa, la musica riempie la sala, l’uomo dall’aspetto comune si trasforma e trasfigura lanciandosi in un’interpretazione che lo coinvolge anima e corpo.
Al termine della terza esecuzione il musicista si concede una pausa per salutare il suo pubblico e con garbata ironia sottolinea quella che si rivelerà la nota dolente della serata: l’acustica che, secondo la sua definizione, è «ampia ».
Poche parole, qualche sorriso e la musica ritorna in scena esaltata dalla maestria del magnifico interprete, ma per perdersi e lasciarsi andare alle emozioni occorre chiudere gli occhi.
La luce è tanta, infatti, e offre l’occasione di distrarsi per ammirare lo splendore della sala o anche per cogliere i mille spunti che, come spesso accade, il pubblico ci fornisce. Come non notare la giovane mamma che si accarezza il pancione e cerca di tenere a bada l’entusiasmo del precocissimo fan?
Pieranunzi, dopo un fugace abbandono della scena per bere, riprende il microfono per dialogare con il suo pubblico ma, innervosito dalle lamentele di una parte della platea che proprio non riesce a sentire cosa dice, si rimette al piano per restarvi fino alla fine.
Impietosa la critica autografata sul librone all’ingresso della sala che definisce l’acustica orribile e attribuisce il beneficio del dubbio alla maestria dell’artista, ma cogliendo stralci delle conversazioni che accompagnano il disperdersi degli spettatori emerge senza dubbio che l’aspetto carente, seppur importante per un’esibizione musicale, non ha messo in ombra il talento e il virtuosismo del jazzista, né il garbo e la semplicità dell’uomo.
*photo credits: Titti Fabozzi, DMV Comunicazioni