[highlight] La crisi del Governo Letta pone fine alle larghe intese e mette a rischio la stabilità dell’Italia[/highlight]
Le dimissioni dei ministri del Pdl hanno aperto la crisi del governo di Enrico Letta, ormai affossato dalle minacce divenute realtà di Silvio Berlusconi, che aveva richiesto ai suoi “accoliti” di abbandonare l’esecutivo, dopo aver considerato inaccettabile l’ultimatum del Primo Ministro.
Avevamo già detto qui che l’autunno del Governo Letta sarebbe stato molto caldo e immaginavamo che la data di scadenza sarebbe stata quella del 4 ottobre, giorno di decisione della decadenza politica di Berlusconi.
Invece il leader pidiellino ha deciso di far precipitare subito gli eventi. Che ci fosse aria di burrasca era chiaro dopo la visita di Letta al Quirinale, di ritorno dagli Stati Uniti, quando ormai il Governo era stato già messo con le spalle al muro dalle dichiarazioni di Berlusconi.
Le dimissioni hanno poi scatenato l’irreparabile. In una nota firmata da Angelino Alfano, Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzin, Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello, si legge infatti:
[quote]Rassegniamo le nostre dimissioni anche al fine di consentire, sin dai prossimi giorni, un più schietto confronto e una più chiara assunzione di responsabilità [/quote]
Letta da New York ha considerato i fatti pre-crisi come «una vera umiliazione: mentre parlavo all’assemblea dell’Onu dove rappresentavo il Paese, in sedi istituzionali sono successe cose assai gravi. Quanto accaduto non ha umiliato me ma tutta l’Italia.»
Successivamente, ha rincarato la dose sul suo profilo Twitter:
#IVA colpa dimissione parlamentari che ha provocato crisi e reso impossibile continuare.Berlusconi rovesciafrittata,italiani non abbocchino!
— Enrico Letta (@EnricoLetta) September 28, 2013
Anche Napolitano, vero “deus ex machina” delle larghe intese, aveva giudicato le dichiarazioni di Berlusconi nel videomessaggio e le minacce dei parlamentari PDL come «un fatto inquietante e un’inutile pressione per far sciogliere le Camere».
Siamo arrivati quindi alla fine delle larghe intese? Cosa succederà ora?
Il Primo Ministro sembra intenzionato ad avviare verifiche per vie ufficiali e quindi è lecito chiedersi se si andrà verso un voto di fiducia con tutte le conseguenze politiche che possono scaturirne.
L’Italia paga ancora in maniera pesante l’instabilità politica di una classe dirigente inetta e ostaggio di chi da oltre vent’anni tiene nella morsa il Paese per salvaguardare interessi e affari personali.
Le conseguenze sulle tasche degli italiani sono già evidenti: nei giorni scorsi, alle prime notizie di crisi, lo spread era salito oltre i 260 punti di differenziale e, come evidenzia uno studio della CGIA di Mestre, dalla caduta del Governo Letta scaturirebbe un aumento delle tasse vertiginoso, con il ritorno dell’IMU e l’aumento del IVA, di 9,4 miliardi di euro per il 2014, di cui 7,2 miliardi di euro in capo alle famiglie, con un aggravio medio annuo per ciascun nucleo familiare intorno ai 280 euro.
Di chi sono le responsabilità politiche di questo fallimento?
La responsabilità è tutta sulle spalle del Pdl ostinatosi a voler salvare a tutti i costi il futuro politico del suo leader, trasformando una condanna per reati comuni in persecuzione politica.
Le larghe intese sono forse il più grande fallimento del Presidente Napolitano: il pensare che forze così eterogenee e conflittuali potessero portare avanti le riforme necessarie al Paese è stata pura utopia.
Cosa farà ora il Presidente visto che aveva minacciato più volte le dimissioni in caso di fallimento della sua azione conciliatoria?
In realtà erano mesi che il Governo si arenava tra lotte intestine e polemiche.
Le riforme istituzionali non erano mai state all’ordine del giorno e nemmeno la discussione sulla Legge elettorale, che poteva evitare di ritornare alle elezioni con il “Porcellum”, è mai stata avviata per l’inconciliabilità delle posizioni.
Ora che si è arrivati all’inevitabile quale potrebbe essere l’alternativa?
È necessario evitare le elezioni e verificare la possibilità di un rimpasto, con la ricerca dell’appoggio esterno delle altre forze di opposizione in Parlamento per singoli punti prestabiliti, così da permettere l’approvazione delle misure necessarie a evitare il collasso e poter avviare una modifica della Legge elettorale per le successive elezione. Allo stato attuale degli equilibri politici, però, anche questa sembra essere una prospettiva difficile da seguire.
Intanto, il Paese resta in bilico sul baratro del non ritorno, affossato dall’onda lunga della crisi, amplificata dall’incapacità della classe politica a portare avanti qualsiasi tipo di riforma strutturale e interessata solo a salvaguardare i propri interessi.