[highlight]Berlusconi, un caso all’apparenza semplice che però continua a spaccare Governo e opinione pubblica[/highlight]
C’è chi ricopre un ruolo politico cercando di risolvere problemi, e chi invece li crea, restando peraltro ancorato alla sua poltrona nonostante i venti di tempesta.
Continuando il giochino dell’anonimato e chiedendo all’opinione comune un parere su di un personaggio interessato principalmente ai propri scopi, si otterrebbero probabilmente critiche concordi e diffuse. Tuttavia, basta scrivere Silvio Berlusconi, che a suo dire si è sempre battuto per gli interessi dell’Italia, e le carte in tavola cambiano.
È passato più di un mese dal video-messaggio in cui commentava la condanna a 4 anni per il processo Mediaset, ma il “premier” sembra intenzionato a dire la sua ancora una volta. Difeso a spada tratta da tutti i suoi colleghi di partito e dai cittadini, come quelli che si sono recati a Roma alla manifestazione del Pdl del 4 agosto, starebbe infatti preparando un nuovo intervento in tv.
Una possibilità che ha creato nuove polemiche, soprattutto per l’eventualità che anche questo messaggio sia trasmesso dalla Rai, che resta pur sempre un “servizio pubblico” sostenuto (anche) attraverso il canone pagato dai contribuenti. Per questo, il giornalista Gianfranco Mascia ha indetto una petizione pubblica e scritto all’Agcom, l’Autorità di garanzia del settore comunicazioni, per evitare la trasmissione del video.
Analizziamo le tappe principali di un processo che va avanti da circa dieci anni, per capire come si sia arrivati alla situazione odierna.
Tutto ha inizio nell’ormai lontano 13 giugno 2003, quando escono fuori le prime indiscrezioni di un’inchiesta aperta dalla procura di Milano nei confronti di Silvio Berlusconi, nata da un’altra indagine, quella sul comparto estero di Fininvest. Si va avanti e, il 7 luglio 2004, risultano indagati fra gli altri anche Marina e Piersilvio Berlusconi, il presidente Mediaset Fedele Confalonieri, l’ex responsabile del settore estero Fininvest, Giorgio Vanoni, l’ex responsabile di Fininvest Service in Svizzera, Candia Camaggi, e il presidente di Arner Bank Paolo Del Bue.
L’udienza preliminare viene fissata per il 28 ottobre 2005 ma verrà subito rinviata (i pubblici ministeri hanno depositato documentazione oltre il termine previsto, nda) al successivo 7 novembre.
Il 12 maggio 2006, dopo altri tre aggiornamenti dell’udienza preliminare, il pm De Pasquale chiede il rinvio a giudizio di Silvio Berlusconi e altre 11 persone. Chiede, anche, di affrettare i tempi per evitare il pericolo prescrizione.
Il 29 maggio 2006 il legale di Silvio Berlusconi, Nicolò Ghedini, chiede di non processare il proprio assistito affermando che:
[quote]Si è dimesso il 26 gennaio 2004 dalle sue cariche in Mediaset e non ci sono testimonianze o documenti che comprovano le accuse[/quote]
Il 7 luglio 2006, il Gup Paparella rinvia a giudizio Silvio Berlusconi per falso in bilancio, appropriazione indebita e frode fiscale; il 21 novembre 2006 inizia il processo.
Dopo l’archiviazione per Marina e Pier Silvio Berlusconi, vengono prescritti il 15 gennaio 2007 i reati fino al 1999, mentre il 19 novembre 2007 arriva la prescrizione per il falso in bilancio.
Il 26 settembre 2008 il processo viene sospeso per l’eccezione di costituzionalità del Lodo Alfano e gli atti sono inviati alla Consulta.
Passa un anno, e il 26 ottobre 2009 viene fissata al 3 novembre la riapertura del processo, visto che nel frattempo il Lodo Alfano è stato dichiarato incostituzionale.
Dopo qualche settimana, il 16 novembre 2009, il processo si riapre ma viene subito rinviato per “legittimo impedimento” invocato dal Cavaliere, ma il 12 aprile 2010 il Pm De Pasquale chiede di andare avanti col processo il sabato e la domenica per evitare le “giustificazioni” dell’allora premier; il 28 febbraio 2011 il processo riprende e viene rinviato ad aprile, la difesa chiede udienze solo il lunedì e Berlusconi, che non si è mai presentato in aula, viene definito contumace.
L’11 aprile 2011 Berlusconi si presenta in aula e si rivolge al Pm De Pasquale dicendo “lei è il pm cattivo”.
Il 26 ottobre 2012 la sentenza di primo grado condanna Silvio Berlusconi a 4 anni (di cui 3 condonati grazie all’indulto), con l’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici e il pagamento di 10 milioni all’agenzia delle entrate, mentre assolve Fedele Confalonieri.
L’ex premier parla di “accanimento giudiziario”; il 18 gennaio 2013 si ricomincia con il processo d’appello e si susseguono le richieste di legittimo impedimento a causa delle elezioni per il governo.
Il 9 marzo Berlusconi è assente in aula perché malato di “uveite bilaterale”, ma il Tribunale chiede la visita fiscale al San Raffaele e si decide che non c’è impedimento.
La volta successiva, però, viene accolta la richiesta di legittimo impedimento per l’elezione del presidente della Repubblica, fino ad arrivare al giorno in cui i giudici, e in particolare il pg Antonio Mura, chiedono la conferma della condanna a 4 anni per Berlusconi, ma la riduzione dell’interdizione dai pubblici uffici da 5 a 3 anni.
Da parte sua, Berlusconi si considera una vittima: secondo le parole del suo video messaggio comparso sui canali Mediaset il 1 agosto, l’Italia non ha riconosciuto i meriti di una persona che ha dedicato anima e corpo al suo governo, che ha subito un accanimento giudiziario senza precedenti e soprattutto ingiustificato, perché per i diversi processi che ha dovuto affrontare – quali, ad esempio, il lodo Mondadori, i falsi in bilancio Fininvest del 1988-1992 e il processo Ruby, per il quale l’onorevole Daniela Santanché è scesa in piazza a manifestare tra la gente indossando una t-shirt con su scritta una frase di dubbio gusto – non sussiste reato, ad esclusione dell’ultimo (dimenticando però che ciò è stato reso possibile anche grazie alle numerose leggi che si sono susseguite, guarda caso, proprio durante i suoi anni al governo).
“È una condanna che posso tranquillamente definire politica, incredibile e intollerabile” così commenta il leader del Pdl. Nel video messaggio del 1 agosto aggiunge ancora:
[quote]Quando ho deciso di occuparmi della cosa pubblica, cercando di chiamare all’impegno pubblico le energie migliori della società civile, ho dato un contributo alla modernizzazione del nostro Paese e ho messo tutte le mie forze nel tentativo di realizzare una rivoluzione liberale che non si è completamente adempiuta per le insuperabili resistenze dei partiti alleati ed anche perché tante sono in Italia le resistenze e gli ostacoli al cambiamento. Sono anche sicuro di aver rappresentato al meglio l’Italia nel mondo, facendo in modo che divenisse protagonista e non subalterna alle grandi potenze mondiali, tutelando sempre i nostri interessi e la nostra dignità. In cambio di tutto ciò, in cambio dell’impegno che ho profuso nel corso di quasi vent’anni a favore del mio Paese, giunto ormai quasi al termine della mia vita attiva, ricevo in premio delle accuse e una sentenza fondata sul nulla assoluto, che mi toglie addirittura la mia libertà personale e i miei diritti politici. [/quote]
È inaccettabile che rischi la decadenza da senatore per quello che è accaduto: un uomo che ha lottato con tutto se stesso per migliorare il nostro Paese anche all’estero – e la leader tedesca Angela Merkel, l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy e il presidente americano Obama lo ricorderanno – condannato agli ultimi due processi affrontati a 7 e a 4 anni di reclusione (che peraltro non sconterà a pieno perché ha superato la soglia dei 70 anni, e perciò dovrebbe trascorrere all’incirca un anno circa agli arresti domiciliari, nda).
I giudici, purtroppo, hanno approfittato del loro potere per scardinarlo: per questo, con i suoi avvocati, ha deciso di rivolgersi alla Corte di Strasburgo, appellandosi all’articolo 34 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e agli articoli 45 e 47 del regolamento della Corte; si riferisce anche all’articolo 7 della Convenzione europea (“Nulla poena sine lege”, ovvero il principio di «irretroattività» secondo cui non ci può essere una pena in assenza di una legge che identifichi un reato) spiegando che la legge Severino – che riporta l’incandidabilità alle elezioni politiche per coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione – non può essere applicata in modo retroattivo, e all’articolo 13 della Convenzione, secondo cui:
[quote]ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.[/quote]
Secondo il vicepresidente del consiglio dei ministri, Angelino Alfano, la partita non è ancora chiusa. Non sono mancate però le repliche del segretario del Pd, Guglielmo Epifani, che ha ricordato il principio di uguaglianza dinanzi alla legge, e del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, secondo cui in un paese civile un condannato si sarebbe messo da parte.
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