[highlight]Snobbati da tutti tranne che dal Fisco, il Popolo delle P. Iva vive senza sostegno da parte dello Stato, vittima di un’idea obsoleta di mercato del lavoro[/highlight]
Mentre la politica italiana avanza a colpi di sussidi e incentivi all’occupazione, che lasciano il tempo che trovano, e i sindacati si battono solo per gli iscritti, c’è un popolo completamente snobbato da tutti, tranne che dal Fisco, come ricordava in un pregevole articolo su “Il Fatto Quotidiano” Stefano Feltri qualche giorno fa: è il Popolo delle Partite Iva, circa tre milioni di persone, che equivale al 15% della popolazione attiva.
Questi i numeri dei “liberi professionisti”, o “lavoratori autonomi”, persone che con le proprie capacità e il proprio talento cercano di restare a galla nel nostro disastrato e obsoleto mercato del lavoro.
Senza garanzie né tutele, giovani e meno giovani si fanno in quattro per portare avanti la propria attività, privi di ordini professionali protetti, sussidi pubblici, assegni di maternità, ferie pagate, assistenza sanitaria, ammortizzatori sociali e chi più ne ha più ne metta. Anzi, invece di ricevere un sostegno dallo Stato in un momento così delicato dal punto di vista economico, dovranno fare i conti con l’aumento dal 28% al 33% nei prossimi quattro anni delle aliquote previdenziali per chi versa alla Gestione Separata INPS, aumento che sarà utilizzato per finanziare il fondo esodati. Insomma, oltre il danno la beffa.
Tanto lavoro, zero garanzie, imposizione fiscale molto elevata, rende questi imprenditori e lavoratori autonomi dei veri e propri precari.
Il problema è, come sempre in Italia, strutturale e deriva da un’impostazione del mercato del lavoro assolutamente distante dalla realtà. Quando i politici e i sindacati si renderanno conto che l’economia del nostro Paese non è più a vocazione industriale, ma è tenuta in piedi da piccole e medie imprese e lavoratori autonomi, forse inizierà a cambiare qualcosa.
Nelle scorse settimane abbiamo affrontato il tema del lavoro ponendo l’attenzione sulla difficoltà per le aziende di reperire personale tecnico professionale adeguatamente formato, prevalentemente nel settore informatico ma non solo (clicca qui per l’articolo).
In effetti, continuare a pensare che i lavoratori in Italia si dividano tra operai sfruttati e dipendenti pubblici intoccabili vuol dire essere completamente folli.
Ingegneri chimici, programmatori informatici, esperti di social media marketing, artigiani (falegnami, installatori d’infissi, panettieri, pasticcieri, idraulici e termoidraulici, tornitori, elettricisti e meccanici), operatori turistici qualificati, operatori della ristorazione, agronomi e agricoltori: sono queste le figure professionali più richieste oggi. Insomma, non abbiamo bisogno in questo momento storico di operai metalmeccanici specializzati, né di avvocati o architetti. Continuare a investire tempo, risorse e denaro per salvaguardare solo ed esclusivamente i lavoratori che rientrano nella sfera d’interesse dei sindacati è una scelta a dir poco improduttiva.
Sono mesi ormai che Confindustria invita il Governo a prendere in considerazione una serie di operazioni che potrebbero avere effetti positivi sulla stagnante economia italiana; l’eliminazione dei sussidi alle imprese, il superamento della cassa integrazione con l’istituzione di un sussidio di disoccupazione per tutti i lavoratori (il famoso reddito minimo garantito, nda), e non solo per alcuni, come avviene nei Paesi anglosassoni e nord europei, agevolazioni nell’accesso al credito, magari attraverso l’intervento di Cassa Depositi e prestiti, riduzione e graduale eliminazione dell’Irap e delle tasse sul lavoro (il famoso cuneo fiscale, nda).
Poche cose, che potrebbero produrre dei seri ed evidenti benefici per imprese e lavoratori italiani, e che speriamo non restino solo parole al vento.