[highlight]Un gruppo d’intellettuali e politici napoletani ha redatto un manifesto per chiedere cambiamenti radicali all’interno del PD[/highlight]
Il Congresso del Partito Democratico è al centro di numerose discussioni, dalla data ancora da stabilire alle regole cui sottostare, fino all’eccessivo numero di candidati alla segreteria. Com’è noto, il partito vive un periodo di grosse difficoltà interne, al centro tra due fuochi: le larghe intese, non molto amate dai militanti e dagli elettori, e le posizioni contrapposte tra loro dei principali candidati, in particolare Matteo Renzi, Fabrizio Barca, Pippo Civati e Gianni Cuperlo.
In questo clima, a dir poco teso, s’inserisce un gruppo di intellettuali e politici napoletani, «in qualche caso come iscritti al PD, in molti casi come non iscritti, ma attenti alle scelte del PD e pronti anche all’eventualità di un contributo più attivo», che hanno redatto un documento per chiedere al PD di convergere su alcune scelte, a loro dire essenziali per il presente e il futuro del partito.
Nel manifesto si critica il partito per «la costante oscillazione, tra posizioni riformiste […] e posizioni moderate se non francamente conservatrici», che hanno finito con il rafforzare «le posizioni qualunquistiche di Grillo».
Due i principi ritenuti fondamentali da imprimere all’indirizzo politico del partito:
1) La separazione delle figure di segretario del partito, espressione di una ritrovata identità, e di candidato a capo del governo, che necessariamente dovrà farsi carico di dialogare con l’elettorato che si riconoscerà nella coalizione;
2) di conseguenza, l’elezione del segretario del partito deve essere decisa esclusivamente dagli iscritti, anche se questa scelta dovesse rimettere in discussione decisioni già prese.
Secondo la tesi dei promotori di questo manifesto, infatti, mentre da un lato è essenziale consentire ai propri iscritti la possibilità di scegliere e nominare il proprio segretario, dall’altro sussiste la necessità di lasciare libertà di manovra ai vertici del partito, altrimenti «sarebbe come se ai soci di una società per azioni venisse imposto l’obbligo di sottostare alle decisioni non della propria assemblea, ma di forze esterne che potrebbero essere portatrici anche di interessi contrastanti se non contrari a quelli della società».
A questi due, imprescindibili, punti si aggiungono una serie di argomenti da trattare e portare al pubblico dibattito, che sono:
1) La riforma elettorale, prioritaria, per restituire governabilità immediata al Paese;
2) Politiche del lavoro indirizzate alla crescita (defiscalizzazione, deburocratizzazione, ecc.);
3) Politiche di sostegno della ricerca e dell’innovazione orientate a garantire opportunità senza privilegi che consentano il pieno riconoscimento del merito;
4) L’identificazione dei diritti inalienabili che vanno riconosciuti a tutti gli individui in quanto esseri umani;
5) L’innovazione della macchina statale per consentire procedure più efficaci nelle funzioni proprie e rapidità negli investimenti anche a soggetti stranieri;
6) La riforma delle istituzioni e delle assemblee rappresentative.
Obiettivo di questo manifesto è, da un lato, sensibilizzare i vertici del Partito Democratico a «tornare a svolgere un ruolo propulsivo nella società» e, dall’altro, «promuovere l’emersione di un nuovo gruppo dirigente», che non si limiti però a un semplice ringiovanimento anagrafico senza contenuti, «ma che abbia come obiettivo prioritario la costruzione di un’identità politica chiara e aperta».
I firmatari del manifesto sono: Eugenio Mazzarella, Dario Boldoni, Antonio Carrano, Giovanni de Simone, Roberto Di Lauro, Dino Falconio, Rosa Maiello, Fabio Mangone, Elisa Novi Chavarria, Mario Rusciano, Benito Visca.