[highlight]È di nuovo allarme doping: sport e atletica nel fango con Asafa Powell e di Tyson Gay, nel ciclismo l’incognita Froome[/highlight]
Il 14 luglio 2013 è stato definito «la domenica nera del doping nell’atletica», che, dai tempi di Ben Johnson, dal torbido e dai farmaci non ne esce più. La Giamaica dello sport è in subbuglio: sono quattro gli atleti scoperti, oltre ad Asafa Powell, ex primatista mondiale dei 100 metri, che avrebbe assunto uno stimolante. L’altro sprinter di spicco che in questi giorni è stato coinvolto è l’americano Tyson Gay, il secondo uomo più veloce di sempre e primo in questo 2013, trovato positivo in un controllo a sorpresa del 16 maggio. Questi casi sono solo l’apice di un sistema che colpisce e copre un intero mondo, e che già recentemente aveva visto la sospensione di un’altra atleta giamaicana, Veronica Campbell-Brown, due volte campionessa olimpica dei 200, per l’assunzione di un diuretico proibito.
Dopo la perquisizione dell’hotel dei giamaicani a Lignano Sabbiadoro, in cui risiedevano anche Sherone Simpson e Nesta Carter (gli altri nomi per ora emersi), i Carabinieri del Nas hanno trovato una cinquantina di scatole di medicinali, flaconi, integratori e pillole, la cui natura sarà svelata dalle analisi che sono ora in corso. Gli atleti giamaicani sono stati trovati positivi a un controllo effettuato a fine giugno durante i trials di Kingston, che valevano il pass mondiale, e ora sono in attesa delle controanalisi.
L’agente di Asafa Powell, Paul Doyle, ha confermato che il suo assistito è risultato positivo all’oxilofrine, uno stimolante proibito, mentre è stata smentita la notizia dell’arresto del preparatore atletico in Italia. [highlight] La prima conseguenza invece per Tyson Gay è stata di tipo commerciale: l’Adidas ha infatti sospeso il suo contratto di sponsorizzazione personale. [/highlight] Resta fuori dall’inchiesta, per ora, il nome di Usain Bolt.
Il grande paradosso della domenica nera è stata invece l’affermazione al Tour de France del britannico Chris Froome, nuovo talento del ciclismo, che ha strabiliato tutti con un’impresa epocale sul Mont Ventoux, teatro delle storiche prodezze di Marco Pantani. Froome ha ormai ipotecato la vittoria nella Grand Boucle, ma più delle sue vittorie salgono alle cronache i dubbi e le perplessità sulla correttezza della corsa. Quando si parla di ciclismo e di grandi gesta, infatti, non si può omettere il sospetto del doping, soprattutto dopo la bufera causata dalla confessione choc di Lance Armstrong, padrone truccato di sette Tour consecutivi.
Proprio dopo la grande tappa del Mont Ventoux, Froome si è detto stizzito per i continui accostamenti al doping: [quote] Trovo molto triste che all’indomani della più grande vittoria della mia carriera mi si venga a parlare di doping, sono pulito! [/quote], ha dichiarato dopo aver subito tre controlli in 24 ore.
Ma le voci e i dubbi non si placano.
Dopo questi scandali ci si chiede ancora se abbia senso parlare di sport, se sia giusto limitare la questione a sanzioni dal punto di vista sportivo o penale o se, piuttosto, non sarebbe giusto fermare tutta la macchina organizzativa e riflettere sulle cause e soluzioni di questa piaga. Ci possono essere delle soluzioni, in un sistema di doping sempre più complesso e organizzato e che coinvolge anche i livelli giovanili?
Uno strumento di controllo ormai in fase di adozione è il passaporto biologico, «tecnica antidoping introdotta dalla WADA che consiste nel tracciamento nel tempo dei parametri ematici dell’atleta. La squalifica per doping dell’atleta incorre nel caso in cui vengano rilevati andamenti anomali e ingiustificati di tali parametri rispetto al profilo tipico dell’atleta. È dunque una tecnica indiretta che non rileva la presenza/assunzione diretta del farmaco dopante, ma individua gli effetti anomali che tali sostanze inducono sull’organismo smascherandone così l’assunzione sul breve, medio e lungo termine».
Può essere sufficiente questo, visto il progresso nel campo del doping genetico di tecnologie mediche e tecniche geniche capaci di aggirare gli attuali sistemi?
Da tempo ormai il fenomeno non è più solo una questione di sport, ma il riflesso di un vero e proprio problema culturale, che spinge ad aggirare le regole in tutti i campi della vita, con l’obiettivo della vittoria a tutti i costi già in età infantile, quando invece bisognerebbe solo divertirsi. È un movimento che gira solo intorno al business degli sponsor, che finanziano i record fatti da atleti creati in laboratorio, che non hanno nulla di umano.
Viene difficile, allora, credere ancora nell’eccezionalità di personaggi capaci di imprese mirabolanti, considerarli dei simboli, degli eroi moderni che tifosi e appassionati possono idolatrare, e ci troviamo invece ogni volta a piangere la morte di quella favola sportiva che non c’è più.
Lo sport travolto dal vile denaro è tradito dall’ennesimo campione, fino a prova – antidoping – contraria.
Gran bell’articolo, semplice e lineare…
Grazie…