[highlight]Tre lunghi anni e la condanna non arriva[/highlight]
«Denise ritornerà. Riavrai la tua Denise», dice una giornalista a Piera Maggio, madre della bambina scomparsa, al termine della conferenza stampa organizzata dopo la sentenza.
È possibile fare una promessa simile ad una mamma tanto affranta? Denise tornerà mai a casa sua e riabbraccerà la madre?
La piccola scompare nel settembre del 2004 e il 2 luglio 2013 «è stata sequestrata di nuovo», come sostiene Piera.
Quel giorno, dopo tre anni e mezzo di processi, il presidente del Tribunale di Marsala, Riccardo Acmo, e i giudici, Gianluigi Visco e Omar G. Monica, durante l’ultimo appello tenutosi nell’aula Paolo Borsellino, ritengono Jessica Pulizzi non colpevole del rapimento della piccola Denise e condannano a 2 anni di reclusione per falsa testimonianza l’ex fidanzato della ragazza, Gaspare Ghabel. Eppure, i pm Sabrina Carmazzi e Francesca Rago sostengono che gli indizi a carico della sorellastra Jessica sono «chiari,univoci e convergenti». Di fatti, per lei erano stati proposti 15 anni di carcere, il massimo della pena.
Ci sono cinque motivazioni per cui la posizione di Jessica non poteva essere ritenuta vera:
1. L’alibi. Jessica ha sempre sostenuto che la mattina del primo settembre del 2004, il giorno della scomparsa di Denise, si trovava a casa e che soltanto dopo è uscita per andare al mercatino. Le analisi eseguite sul suo telefono cellulare, però, smentiscono il suo racconto. Fin dalle 11.13, nei minuti in cui Denise sparisce dalla sua casa, il cellulare di Jessica aggancia la cella telefonica che copre l’abitazione della bambina.
2. False dichiarazioni. Secondo l’accusa, Jessica Pulizzi non ha mai detto nulla di vero. Non solo rispetto ai suoi spostamenti nel giorno della scomparsa di Denise, ma anche riguardo alla ricostruzione dei giorni successivi alla scomparsa. Alle 12.02 del primo settembre, sostengono gli inquirenti, Jessica chiamò Gaspare Ghaleb, 28 anni, all’epoca suo fidanzato, per informarlo su quello che era accaduto a Denise. Ghaleb nega tutto e per questo è stato processato per false dichiarazioni.
3. Intercettazioni ambientali. L ’11 settembre 2004, all’interno del commissariato di polizia di Mazara del Vallo, Jessica parla da sola con la madre, Anna Corona, e pronuncia questa frase in dialetto siciliano: «Quannu eru cu Alice a pigghiai e a casa c’ha purtai». Vuol dire: «Quando ero con Alice (la sorella più piccola di Jessica, nove anni all’epoca dei fatti) l’ho presa e l’ho portata a casa». Anna Corona, comprendendo la gravità di quelle parole, interrompe subito il racconto della figlia. Ma quella frase era già stata intercettata e registrata.
4. Testimonianze. La nonna di Jessica ha raccontato di aver ricevuto una telefonata in cui le veniva detto di «correre perché le ragazze avevano fatto un guaio».
C’è un altro indagato, Giuseppe Della Chiave, 40 anni, accusato da suo zio Battista, sordomuto, di essere stato visto quel primo settembre con una bambina in braccio, la cui descrizione corrisponde a Denise, telefonare in modo agitato dal magazzino dello stesso zio e scappare via.
5. II movente. Jessica era molto gelosa del rapporto tra suo padre, Piero Pulizzi, e Piera Maggio. Proprio da questa relazione era nata Denise.
Come mai i giudici hanno preso questa decisione? «C’è qualcun che vuole gettare in fondo ad un fiume questo procedimento!», dice Piera durante la conferenza. Nella stessa occasione Piero Pulizzi, quasi mai presente agli appelli di Piera Maggio, ha dichiarato, dopo uno sfogo con l’ex compagna, «non c’è giustizia, non c’è giustizia».
Sarà vero? Sul serio non c’è giustizia? Ma, soprattutto, dov’è Denise ora e come sta?