[highlight]Il Partito Democratico deve essere ripensato, per evitare che l’Italia deragli[/highlight]
C’è un qualcosa di non meglio definito intorno all’attività di un Partito (Democratico) che non ha ancora scelto quale strada intraprendere per divenire grande. Nei consueti giri di giostra diretti dai soliti volti noti è emersa una latente frammentazione ideologica, tendente più alla contrapposizione che al governo del nostro malandato Paese. Un conflitto interno che ha partorito decisioni ai limiti dell’assurdo, che hanno portato alla dispersione di un elettorato anch’esso alla ricerca di un’identità.
Chi parla di un Partito Democratico sulla strada della grande scissione ha ragione. Quello di oggi è frutto di un’unione improvvisata di correnti che hanno in comune la cassa strapiena della Tesoreria.
Il governo delle larghe intese, guidato proprio dall’ex vicesegretario democratico Enrico Letta, è solo la sintesi estrema di un’intera classe dirigente che ha fallito negli uomini e nei contenuti.
Disoccupazione, pressione fiscale e decrescita erano e restano dei macigni ereditati dal ventennio berlusconiano, ma il Partito Democratico ha pensato bene di non affrontarli di petto. Una mancanza di responsabilità che naturalmente ha influito sull’exploit populista di Beppe Grillo.
È in tal senso che il vecchio cantiere (come lo intendeva il fondatore Walter Veltroni) deve essere ripensato. Priorità non è solo la necessità di rilanciare un’offerta politica, ma è l’urgenza di recuperare credibilità e dare risposte concrete al Paese.
Per fare questo occorrono non solo volti nuovi, ma anche “uomini” di una certa statura etica che sappiano fungere da punto di riferimento.
Dei nomi circolati in questi mesi è riduttivo parlarne. Quel che conta è che si capisca che l’Italia è un treno in corsa senza conducente e che bisogna agire in fretta per evitare collisioni disastrose.