[highlight]Matrimonio gay: grazie alla battaglia di Edie Windsor[/highlight]
Può un amore cambiare le leggi di una nazione come gli Stati Uniti D’America? Questa storia arriva direttamente da oltreoceano, e ci racconta la battaglia di Edith “Edie” Windsor contro gli United States, per far si che il suo matrimonio con Thea Spyer venisse riconosciuto. Dopo 40 anni di fidanzamento, decidono di sposarsi e, essendo residenti nella Grande Mela dove il matrimonio gay non è riconosciuto, vanno a Toronto, in Canada. Non potevano più aspettare, perché la sclerosi multipla di Thea stava peggiorando. Nel 2009 morì lasciando la sua eredità ad Edie. Ma come se non bastasse, oltre al dolore per la perdita dell’amata moglie, le venne richiesto di pagare 363.000 dollari di tasse per il lascito. Questo perché il fisco americano tassò Edie applicando la legge del Defense of Marriage Act, conosciuta anche come DOMA.
Era il 21 settembre 1996 quando l’allora Presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, sottoscrisse, con l’approvazione del Congresso, questa legge federale che stabiliva, in caso di matrimoni omosessuali, come venisse meno il vincolo di reciprocità che lega gli Stati americani, cioè il meccanismo che fa sì che ogni stato riconosca i titoli di studio, i documenti d’identità, i benefit fiscali e pensionistici, i procedimenti giudiziari e lo status legale di tutti i cittadini, anche quelli degli altri stati. Il punto è che la tassa non sarebbe stata imposta se il suo coniuge fosse stato un uomo. Windsor, ritenendo ingiusto il trattamento, non ci ha pensato due volte e ha deciso di citare in giudizio il governo.
Ieri con cinque voti a favore contro quattro, la Corte Suprema ha bocciato la legge, definita una “deprivazione di libertà eque” ed incostituzionale perché viola il quinto emendamento sulla difesa delle libertà individuali. Decisivo il voto del giudice Anthony Kennedy, che ha fatto la differenza schierandosi con i quattro giudici scelti dai democratici. “Io e Thea abbiamo condiviso 44 anni insieme e mi manca ogni giorno. E’ una vittoria, per me e per lei, vedersi riconoscere lo stesso status di una coppia eterosessuale. Ho difeso un principio, quello di fermare una grave discriminazione. Dimentichiamo il denaro, il matrimonio è ovunque nel mondo il simbolo dell’amore“, queste le prime parole di Edie, che dopo anni ha vinto la sua battaglia.
A Manhattan, nello storico bar gay Stonewall Inn di Greenwich Village, è scoppiato il delirio. Tantissime le persone che hanno affollato le strade tra urli di gioia e bandiere con i colori del movimento gay. Anche il sindaco di New York, Michael Bloomberg, ha applaudito alla decisione: “La nostra storia è definita dall’allargamento dell’eguaglianza per tutti e la Corte ci ha portato un passo più vicino“.
E sui social network si celebra la vittoria della comunità gay. Primo fra tutti, il presidente Barack Obama ha lanciato l’hashtag #Loveislove, scrivendo: “La sentenza di oggi sul Doma è un passo storico verso la #parità nei matrimoni“. Il cantante gay Ricky Martin: “DOMA è incostituzionale: giustizia per tutti!“. Alicia Keys: “Sono dalla parte giusta della storia. A favore dell’uguaglianza tra i matrimoni“. Infine, il Premio Oscar, Ben Affleck: “Grande notizia dalla Corte Suprema: addio Doma, ciao uguaglianza“. Su Google invece digitando la parola ‘gay’ sul motore di ricerca la casella di ricerca si illumina con i colori dell’arcobaleno, gli stessi della bandiera del Gay Pride. Infine su Facebook, migliaia di condivisioni per il simbolo “dell’uguale” in rosso e rosa della Human Right Campaign.
Diversa invece la reazione dei vescovi Usa alla sentenza. “Un giorno tragico per la Nazione perché la Corte Suprema ha sbagliato“, si legge nel comunicato della conferenza episcopale americana firmato dal presidente, l’arcivescovo di New York Timothy Dolan. “Il governo federale dovrebbe rispettare la verità che il matrimonio è l’unione di un uomo e di una donna anche quando gli Stati non lo fanno“.