[highlight]Quando si diventa spettatori di vite altrui[/highlight]
Era un normalissimo pomeriggio d’estate quando Alfredo Rampi detto Alfredino, mentre tornava a casa, nelle campagne nei pressi di Frascati, cadde in un pozzo artesiano profondo circa sessanta metri. Era il 10 giugno del 1981 quando la disgrazia di una famiglia, oltre a diventare disgrazia per l’intera nazione, cambiò il modo di interazione degli italiani con i mass media.
Fu questo tragico evento a dare vita a un nuovo modo di interpretare il giornalismo: se fino ad allora le dirette per fatti di cronaca erano impensabili, sia per motivi tecnici che per etica o pudore del giornalista, il 10 giugno, stravolgendo i normali palinsesti televisivi, per più di 18 ore ci fu una diretta a reti RAI unificate. Circa 21 milioni di persone in ansia a seguire l’intera vicenda dalla tv, mentre oltre 10000 si recarono lì di persona, tanto che nella zona arrivarono addirittura furgoncini di venditori ambulanti di generi alimentari. Nemmeno le istituzioni furono indifferenti alla notizia, sul posto giunse anche l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Quello fu l’inizio della tv-reality in Italia. Da allora la nostra famelica passione per la realtà vista in tv è andata sempre più aumentando. Anche se in questi anni produttori di programmi tv o di cinema hanno cercato di appagare in ogni modo la nostra sete voyerista, a noi non basta mai. Oltre ai programmi nati con quello scopo (Grande Fratello, La Talpa, L’Isola dei Famosi), abbiamo trasformato anche tutto il resto in reality, come se non riuscissimo ad apprezzare un artista senza la conoscenza dei suoi segreti più intimi. Peter Weir, nel suo capolavoro “The Truman Show”, racconta la vita di un uomo, Truman, che scopre che il suo mondo è una gigantesca messinscena, una soap opera allestita in uno studio televisivo grande come un’intera regione di cui è l’unica persona vera filmata da telecamere invisibili. Tutti gli altri sono solo attori, guidati dal produttore-demiurgo.
Noi le fantasie di Weir le abbiamo superate già da molto. Il dubbio che i partecipanti ai reality possano essere pilotati ci spinge infatti verso nuovi orizzonti. In questi giorni, su molti siti di informazione abbiamo letto, ad esempio, titoli quali “La stanza dove è morto Jacko”, con annesse foto dove ci vengono mostrate parti del letto di morte del re del pop, ogni singolo farmaco, addirittura le ricette mediche. Con una serie di scatti degni dei migliori investigatori di C.S.I. abbiamo frugato anche nella sua morte.
Non ci basta più spiare le persone perché incuriositi dalle loro abitudini, o per sentirci superiori come un dottore che guarda le sue cavie in gabbia, vogliamo sapere tutto di loro, persino in che modo hanno esalato l’ultimo respiro. Il rischio che questo processo di alienazione, se non interrotto, soprattutto in persone deboli, porti all’abbandono della propria vita per vivere quella della persona spiata è sempre maggiore; e, perché no, un giorno a qualcuno potrà venire in mente di emulare addirittura il modo di drogarsi, commettere reati o ammalarsi come la sua cavia.
http://youtu.be/VJDtD9q7Uhw