[highlight]Chiedere sacrifici a chi vive una condizione privilegiata rispetto ad altri, protetto dal posto di lavoro a vita.[/highlight]
Nelle ultime settimana giornalisti ed economisti hanno analizzato la proposta del Governo Letta di avviare una Staffetta Generazione per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro di giovani inoccupati. C’è chi, come Alberto Alesina, editorialista del Corriere della Sera, sostiene che la staffetta generazionale non generi lavoro, ma solo l’illusione della riduzione della disoccupazione giovanile. Altri, invece, sostengono il contrario.
Partendo dai dati, è noto che l’Italia ha uno dei tassi di disoccupazione giovanile peggiori di tutta l’Unione Europea, e che il mercato del lavoro vive, ormai da anni, una forte fase recessiva. È, inoltre, vero che l’ultima riforma delle pensioni firmata dal Ministro Fornero ha stabilito che bisogno lavorare più a lungo rispetto al passato, impostazione che sembra in controtendenza con l’idea della staffetta. E’ altresì vero, però, che una delle piaghe del nostro Paese è la lentezza della burocrazia, che non è prodotta esclusivamente dalla quantità eccessiva di norme rigide e, spesso, inutili ma, in particolar modo, dall’età media del personale impiegato negli uffici, scarsamente qualificato, non motivato, incapace di adeguarsi alle innovazioni tecnologiche. Questo comporta una riduzione della qualità dei servizi erogati e ricadute negative in termini di bilancio.
Fino a qualche tempo fa, con qualche eccezione presente ancora oggi, nel settore pubblico era possibile lasciare il proprio impiego in anticipo sui tempi consentendo l’inserimento del proprio figlio. In questo modo, si tendeva a produrre una forma di nepotismo socialmente accettata e riconosciuta, ma si consentiva anche un reale ricambio generazionale. L’impiegato delle poste veniva sostituito dal figlio con la malsana idea che il mestiere del padre fosse per metà imparato, ma quel figlio non andava a gonfiare il numero dei disoccupati.
Il risultato era una minore disoccupazione giovanile, con un maggiore numero di baby pensionati.
La staffetta generazionale è da ritenersi una strada valida da percorrere, in maniera seria e non propagandistica, per due semplici motivi. Il primo, perché è indubbio che il mercato del lavoro necessiti di personale giovane, sveglio, motivato e qualificato. Il secondo, perché il lavoro non si crea per decreto, ma attraverso incentivi e riduzione del cuneo fiscale, azioni da tempo promesse e mai realizzate, segno di una scarsa attenzione alle esigenze delle imprese. Ne è prova la mancata sospensione della rata IMU di giugno sui capannoni industriali.
Compiere un processo graduale di ricambio generazionale rappresenta, forse, l’unica politica concreta realizzabile per iniziare a ridurre quell’imbarazzante percentuale di disoccupazione giovanile che ci ha reso tristemente famosi nel mondo. Si potrebbe iniziare dal settore pubblico, chiedendo sacrifici a chi vive una condizione privilegiata rispetto ad altri, protetto dal posto di lavoro a vita. Andare in pensione qualche anno prima accettando una piccola riduzione dell’assegno previdenziale per consentire a un giovane di avviare il proprio percorso professionale, è un bel gesto per ricambiare il favore.
Uffici pubblici, scuole, enti, istituzioni, politica, il numero dei dipendenti statali supera i tre milioni. Forse è il caso di sostituirne qualcuno. Gradualmente, s’intende.