[highlight]Avevo tutte le buone intenzioni di trattare un argomento leggero, uno di quelli semi seri da rivisitare con ironia. Poi mi sono ricordata che oggi si vota e il mio umore è cambiato.[/highlight]
Io sono una di quelle che ci credeva davvero che, senza perdere l’obiettività, era di partes e niente affatto super. Una partes di cui era orgogliosa e per la quale ha lavorato condividendo le lunghe riunioni di partito ma anche l’attacchinaggio degli inutili e “sconci” manifesti elettorali.
Un’identità netta, chiara, inattaccabile animata dalla passione e dall’entusiasmo dei venti anni e poi dei trenta e poi?
E va bene una sconfitta clamorosa incassata con un discutibile “compiacimento del disfattismo”, va bene il cambiamento, può ancora andar bene l’adattare concetti nuovi all’evolversi dei tempi ma non va più bene quello che siamo diventati; le ripetute delusioni e disillusioni il comportarsi come gli altri, l’altra partes, uguale uguale, forse anche peggio, dai brogli alle telefonate cadenzate dagli appuntamenti con l’urna.
Eppure eravamo in tanti, presenti fuori e dentro i seggi.
Le elezioni poi, politiche, amministrative o referendarie che fossero sono sempre state un’occasione per racimolare qualche soldo in vista delle vacanze prossime (di solito si vota d’estate) arruolandosi come membri del seggio ma anche un momento di confronto, di dibattito, un luogo in cui, nei pochi giorni condivisi intensamente, nascevano amicizie , diatribe e perfino amori.
Anche l’altra partes aveva un suo perché diverso.
Lo so che il mio sembra il discorso nostalgico di un vecchio militante, ma vi assicuro che oggi varcare la soglia della scuola che ospita il mio seggio è stata un’ esperienza angosciante come poche.
Non ho rimpianto la mia scuola elementare, ma l’atmosfera vivace e pullulante, carica di tensione che animava lo storico istituto in occasione dei confronti elettorali.
Per un attimo ho ricordato le file, lunghe file, le tecniche di seduzione di rappresentanti di lista, le interminabili e faziose discussioni sull’assegnazione dei voti e le fantasiose interpretazioni della normativa elettorale. Mi sono sembrate cariche di un significato diverso anche le intimidazioni subite, le pistole ostentate in periodi di elevata tensione.
Oggi c’erano quattro dei soliti rappresentanti di lista, con le loro solite facce invecchiate in un una fotografia di un passato ormai remoto; non ammiccano neanche più sono lì ti guardano.
La mia vecchia partes accenna un sorriso che vuol dire: «ok tanto sei dei nostri». L’altra partes un saluto fugace della serie: vabbè, tanto lo sappiamo che non voti per noi.
Sbagliate entrambe, vengo a votare perché credo ancora che sia un diritto da difendere da chi ce ne priverebbe volentieri , ma davanti a quel cartellone pieno zeppo di nomi di signor nessuno e di signor qualcuno che dovrebbero avere il pudore se non la dignità di non candidarsi apparite tristemente tutti uguali o quasi.
Ho votato per quel quasi per non arrendermi completamente ma anche perché è difficile veder tramontare una passione. E per me la politica lo era, anzi era anche qualcosa di più , un’ipotesi di quello che avrei voluto fare da grande.
Per la cronaca, alle 14:00 nel mio seggio avevano votato 120 persone.