Quando si ha occasione di leggere un romanzo, soprattutto quando è un’autore o autrice emergente si vuol in qualche modo conoscere qualcosa di più e scoprire magari quali sono state le motivazioni o le ispirazioni che hanno dato vita a quella storia. In occasione del lancio del romanzo d’esordio “La spia ha i capelli rossi”,edito da Homo Scrivens Editore, ho avuto la fortuna di scambiare quattro chiacchiere con l’autrice Sarah Mustafa. Ne è venuta fuori una intima conversazione, esplorando temi quali la continua ricerca di sè e dei suoi valori e il profondo legame che ha con la scrittura.
Attraverso le sue parole mi è stato possibile fare un ulteriore viaggio nel suo mondo, scoprendo così aspirazioni e ispirazioni.
Chi è Sarah Mustafa quando non scrive?
Sono tante cose in realtà: sono una lettrice di romanzi, principalmente gialli e storici; una viaggiatrice zaino-in-spalla: ho visitato circa 50 paesi in quasi tutti i continenti. Penso di essere principalmente alla ricerca dei valori che accomunano gli esseri umani e ultimamente è quello che mi piace mettere in risalto sulla mia pagina IG: Cartoline dal Medioriente.
Quando non sono in viaggio ho un impiego full time in una azienda nell’Oltrepò pavese dove vivo e nel tempo libero faccio lunghe passeggiate in compagnia del mio cagnolino Douglas. Adoro il mare, ho un mio “rifugio” in Liguria dove mi reco tutte le volte che posso.
Secondo te, quando qualcuno dovrebbe essere considerato uno scrittore?
Secondo me quando una persona riesce a trasmettere un messaggio, un’emozione, una sensazione al lettore può ritenere di aver adempiuto alla missione dello scrittore e quindi può essere ritenuto tale.
Cosa ti aiuta a concentrarti mentre scrivi?
Mi verrebbe da dire il silenzio, ma in realtà quando sono nella fase creativa riesco a scrivere in qualsiasi circostanza.
Quali attori pensi che interpreterebbero i tuoi personaggi se il tuo libro fosse trasformato in un film?
Non riesco ad associare i miei personaggi ad altre facce che non siano le loro, quelle che ho immaginato nella mia mente, intendo. Per cui probabilmente li affiderei ad attori esordienti.
In un passaggio del tuo romanzo si legge: “Il velo te lo metti o perché ci credi o perché sei costretta”, ma continuando la lettura, emerge un’altra opzione: il conformismo come percezione di appartenenza al gruppo. Con quale di queste affermazioni ti senti più vicina?
Mi trovo perfettamente nella terza. Quando mi reco in Medio Oriente mi metto spesso il velo per passare inosservata, per essere percepita una del posto anche all’interno delle comunità femminili e non ci trovo nulla di male; lo facciamo spesso se ci pensi: andresti mai in spiaggia in abito da cerimonia o a teatro in pantaloncini?
Uno dei personaggi sostiene che avere “sete è un bene” ma spesso può farti rischiare di buttarti sulla “prima pozzanghera d’acqua sporca e velenosa”. Sei d’accordo con quanto sostiene questo personaggio o pensi che invece “la sete” valga comunque la ricerca?
Nella mia vita ho praticato sempre la ricerca, al costo di avvelenarmi. Di recente però mi è stato spiegato che non è proprio il massimo della vita soprattutto se pensiamo alle relazioni: quando hai sete di affetto e ti butti in una relazione tossica, per esempio.
Essendo siciliana ed amante del cibo, reputo quest’ultimo un elemento fondamentale per connettere te stessa con gli altri. Nel tuo libro, per esempio, si parla spesso delle pietanze del cuore. Quali sono quelle che ancora oggi ti riportano indietro nel tempo?
Più o meno tutte quelle che ho descritto nel libro. Ovviamente c’è tutto un repertorio di cibo italiano che nel libro non c’è, per ovvi motivi.
Attualmente stai lavorando ad un nuovo romanzo?
Sì, sto lavorando al sequel del romanzo, data anche la grande richiesta di chi ha letto il primo.
Per saperne di più: cartoline.dal.medioriente